Lucio Del Pezzo - Associazione Peschi

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Lucio Del Pezzo

Artisti dell'Associazione

simboli e alchimia / gabriele borsetti

Mi sono avvicinato alle opere di Del Pezzo con un particolare atteggiamento reverenziale, sia per la fama e l'elevato valore artistico delle sue composizioni, sia perché i suoi quadri non concedono molto alla seduzione di uno sguardo figurativo. Non ammiccano allo spettatore, eppure affascinano con una composizione simbolica che con i suoi continui rimandi non finisce mai di interrogarti.
Fior fiore di critici hanno suggerito una lettura cauta, aperta alla molteplicità dei piani espressivi e al possibile dirottamento improvviso di significato, ed io non sono un critico d'arte ed è già di per sé sempre un grosso rischio affidare ad uno psicoanalista la presentazione di un artista o delle sue opere perché in una chiave paleofreudiana l'arte, così come la filosofia e la religione, sono fenomeni "sospetti", nient'altro che prodotti della rimozione degli impulsi. E questo si potrebbe adattare solo apparentemente all'utilizzo che Del Pezzo fa di frammenti, a volte di oggetti dimenticati chissà dove e quando, che nell'assemblage diventano segni, significanti di un significato più profondo e non immediatamente accessibile, ma in realtà solo apparentemente nascosto, occultato.
Potremmo dire che le opere di del Pezzo ri-velano, cioè nell'apparenza mostrano, si dispiegano agli occhi di chi osserva, ma in realtà celano nuovamente l'essenza dietro simboli che con un gioco di rimandi infinito ci spingono sempre oltre.
La poliedrica esperienza di Roberto Rossini, che definire come gallerista di successo, pubblicista e organizzatore di eventi è ancora estremamente riduttivo, ha permesso di cogliere un aspetto essenziale della produzione artistica di Del Pezzo: quello alchemico, che è oggi il fulcro di questa esposizione.
Ed io son qui per cercare di condividere con voi gii infiniti rimandi delle opere esposte.
L'ottica che vi propongo, che è quella che deriva dalla scuola di Zurigo di Cari Gustav Jung, permette di considerare l'artista come quel soggetto capace di andare a cogliere negli strati più profondi della psiche contenuti primordiali - di tipo espérienziale ma anche interrogativi teleologici che appartengono all'umanità tutta- e capace di tradurli in immagini, in esperienze solo apparentemente sensoriali ed estetiche che possono essere condivise.
Se guardiamo le opere esposte nel loro insieme, ci accorgiamo di una loro unitarietà di linguaggio. Forse potremmo banalmente dire che è lo stile di Del Pezzo, ma questo stile è molto di più di una costanza di tratto, di composizione: è il tentativo -riuscitissimo- di recuperare con il potere evocativo delle immagini, quella magia del vivere che si è persa con la modernità, quella partecipation mistique che permetteva all'uomo di sentirsi all'interno in un grande progetto universale, in armonia con i grandi cicli della natura e delle stelle, in sintonia con un mondo che era di per sé sacro, esprimeva ancora l'essenza del vivere.
Come dicevo all'inizio la mia sensazione è che le opere di Del Pezzo non solo ci parlino, esprimano lo sforzo di una tensione esistenziale, ma soprattutto ci interroghino, ci spingano a ricercare il senso, non dell'immagine beninteso, ma il senso, il fine del nostro esserci.
Del Pezzo lo fa con quella poesia di simboli che appartengono alla geometria, all'alchimia.
Triangoli, stelle, il pentalfa, cerchi concentrici, sono gli elementi di una metafisica che, con i colori e le proporzioni, esplora il mondo esterno ed al contempo la propria interiorità.
L'artista ci interroga e ci trasforma perché l'opus alchimico è trasmutazione.
Posso immaginare Del Pezzo immerso nella sua attività creativa come gli alchimisti vivevano nella loro ricerca appassionata esperienze emotive e spirituali.
Elemento essenziale dell'alchimia, così come dell'arte di Del Pezzo, è l'impossibilità di scindere il risultato dall'esperienza di una forza sotterranea e sovversiva . Non a caso è stato definito il naif perverso da Pierre Restany (1967).
Il risultato è un'opera d'arte che rimanda al contempo a forme elementari, e proprio per questo archetipiche, e a simboli più complessi appartenenti a quell'immaginario alchemico che si staccava dalla visione asessuata, sterilizzata, del cristianesimo medioevale.
Gli alchimisti avevano il duplice obiettivo (forse solo apparentemente duplice) di trasformare la materia vile in oro, o nella pietra filosofale, o infine nello spirito.
L'oro, come colore e come metallo, entra già negli anni sessanta nell'opera di Del Pezzo, ma anche qui, come nell'alchimia, non si tratta dell'aurum vulgi, del metallo che allude ad un valore monetizzabile, ma di pura luce che illumina la composizione, di colore-oggetto che allude all'essenza, che coagula in sé i tutti i simboli.
L'opera di Del Pezzo è doppiamente alchemica. L'aspetto più immediato è l'uso di simboli tipici della Grande Opera, simboli al contempo astronomici e chimici. Quello più velato sta nella trasformazione che fa della materia in esperienza, non estetica, ma fortemente animica. La matericità delle sue opere ci provoca, ci spinge ad esperirle con tutti i sensi; i suoi assemblaggi, le sue composizioni, sono state definite adimensionali per che l'armonia dell'opera trascende la materia, la trasforma fino a diventare esperienza animica.
Il lavoro di Del Pezzo è un lavoro di rettificazione (che potremmo tradurre con purificazione) in assonanza con l'acrostico alchemico VITRIOL giungendo all'essenza in una composizione armonica di forme elementari. "Visita Interiora Terrae, Rctificando Invenies Occultum Lapidem" che potremmo tradurre in maniera non letterale "fai esperienza della profondità della materia e del tuo essere e, rettificando, cioè elaborando interiormente troverai la pietra filosofale". Il lapis alchemico è quello che riesce appunto a trasformare la materia grezza in oro, nella luce della conoscenza, nell'esperienza dell'Anima.
L'alchimista Del Pezzo lavora in stretta relazione con la sua Soror Mistica, con la sua Anima -in senso junghiano- ed è da questo rispecchiamento che deriva la forza evocativa dell'opera d'arte: dalla materia, all'immagine, alla composizione armonica degli elementi che producono il loro stesso superamento.
Le opere di Del Pezzo ci parlano di noi e ci interrogano sulla nostra essenza utilizzando forme archetipiche e simboli alchemici: "L'uomo è una specifica combinazione del ferro denso e depressivo, con lo zolfo infiammabile e aggressivo, con il sale amaramente saggio ed il mercurio volatile ed evasivo" (Hillman, 1975).

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Lucio Del Pezzo nasce a Napoli iì 1933, giovanissimo partecipa con altri importanti artisti alla fondazione del Gruppo 58, collegato con il "Movimento Nucleare" guidato da Enrico Baj a Milano e con i gruppi Phases a Parigi, Spura Monaco e Boa a Buenos Aires.
Nel 1959 viene chiamato a decorare la cupola della Chiesa di S. Antonio a Stigliano presso Matera con una pittura di 80 mq: "Storie di Antonio da Padova".
Dopo una serie di esposizioni presso importanti gallerie italiane nel 1961 la sua prima personale a New York ed a Pittsburg ottiene il "Camegie International Award".
Nel 1964 alla XIII Triennale di Milano realizza, insieme ad Enrico Baj, Fontana e altri artisti, il "Labirinto del Tempo Liberò", ottenendo un premio internazionale; nello stesso anno partecipa alla XXXII Biennale di Venezia.
Trasferitosi a Parigi, dove vive dal 1964 al 1979, ottiene ampi consensi dal pubblico e dalla critica d'oltralpe tanto che nel 1965 è nominato membro nel comitato di selezione del, Salon de la Jeune Peinture.
Nel 1966 ha una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia e l'anno dopo partecipa all'organizzazione della mostra De Metafisica nella Galleria Kruger a Ginevra dove espone con De Chirico, Carrà, Morandi, De Pisis, Sironi e Gnoli. L'anno successivo ha la sua prima personale a Parigi e lo Stato francese gli commissiona due grandi sculture all'aperto per un complesso architettonico. Successivamente realizza per il Centre Pompidou di Parigi un'opera, // muro, che copre parte del cantiere in costruzione del Beaubourg.
Dal 1970 collabora con la Olivetti come progettista grafico. Il Comune di Milano nel 1974 gli dedica una retrospettiva alla Rotonda della Besana curata da Guido Ballo.
I
Tornato definitivamente in Italia e stabilitosi a Milano, nel 1979 espone allo Studio Marconi di Milano' le opere del ciclo De Chirico, "Paraphrases".Intanto insegna Grafica e illustrazione alla Scuola d'arte del Castello e tiene insieme ad altri artisti italiani una serie di incontri e di lezioni in alcune università e college in California.
Dal 1984 insegna Pittura sperimentale alla nuova Accademia di Belle Arti a Milano, succedendo ad Emilio Tadini.
Si dedica anche alla Scenografia progettando le scenografie dell'opera Samarcanda di E. Schatz e realizzando il balletto "Sogno di una notte di mezza estate" per il Teatro Verdi di Parma e il Teatro Valli di Reggio Emilia.
Espone a Mosca nel 1988 al Palazzo dell'Arte. Nel 1994 un sua personale "Omaggio a Andrea Mantenga" nella Casa Mantegna a Mantova e nel 1997 gli viene assegnato il Premio Imola.
Nel 1998, su commissione dell'architetto Marco Zanuso, realizza una grande pittura per la sede milanese della maison Gian Franco Ferré.
Nel 2000 disegna quattro grandi rilievi ceramici ed una plastica in bronzo per due stazioni della nuova metropolitana di Napoli. Nello stesso anno l'Istituto Mathildenhòhe di Darmstadt presenta la prima grande retrospettiva della sua opera in Germania.
Dal dicembre 2013 al febbraio 2014 il MUSMA, Museo della Scultura Contemporanea di Matera, gli dedica la mostra "Lucio Del Pezzo. Sculture, disegni ,libri d'artista, immagini e documenti 1959 - 2013".
Nel 2013 gli viene assegnato a Gaeta il Premio Una Vita dell'Arte 2013 per "Meriti artistici, serietà e coerenza nella ricerca e nella divulgazione dell'arte italiana nel mondo".


 
 
 
 
 
 
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