Scritti di Umberto Peschi / Diario di un legionario - Associazione Peschi

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Scritti di Umberto Peschi / Diario di un legionario

Umberto Peschi

Il Diario di un legionario, di cui qui si riporta una parte cospicua che comprende i brani più significativi, è il primo in ordine di tempo tra gli scritti di Peschi. Esso non fu certo steso dal giovane con ambizioni letterarie, ma come ricordo personale di situazioni considerate memorabili, tanto è vero che egli non mostrò mai l’intento di pubblicarlo. La copia dattiloscritta, rinvenuta tra le sue carte, probabilmente fu redatta a Macerata dopo il ritorno, sulla base di appunti presi giornalmente sottoforma di diario. A distanza di anni lo scritto si rivela prezioso per comprendere con quanta umanità, sincerità di ideali, ed anche semplicità, Peschi partecipasse all’impresa coloniale, all’epoca ritenuta dai più utile e legittima. Interessante rilevare la progressiva presa di coscienza del giovane sulla guerra e sulle sue efferatezze. Lo scritto si chiude con il ritorno a casa nel novembre del 1936, dopo l’avvenuta presa di Addis-Abeba e la proclamazione dell’Impero (5-6 maggio 1936). Ma la drammatica esperienza vissuta inciderà sul carattere e sugli orientamenti politici dell’artista. E già nella conclusione del diario è insita la dichiarazione di un disagio che man mano diventa insopportabile. Di lì a poco Peschi rifiuterà l’ideologia imperialista e verranno meno nella sua espressione artistica  i temi inneggianti a Mussolini e al Fascismo.
Le “impressioni” africane resteranno tuttavia indelebili nel suo immaginario, tanto che persino negli ultimi anni di attività continueranno ad influenzare le sue forme. Il ricordo delle tipiche fattezze femminili africane darà luogo alle piccole sculture antropomorfe di cui Sante Monachesi, intravedendovi influssi pre-cubisti, farà cenno in un suo articolo su L’Azione Fascista già nel ’37, in concomitanza della mostra Sotto i Trenta,  e rivivrà nella serie più tarda dei disegni erotici. Reminiscenze dei caratteristici termitai, sottoforma di stele, confluiranno in quella che, con nome alquanto generico, verrà poi indicata come, “poetica del tarlo”.

 


RICORDO DELLA CAMPAGNA AFRICANA
1935-1936


Dopo le grandi manovre, dove noi del Genio abbiamo sostenuto una parte non indifferente, e un'attesa di pochissimi giorni, per le varie sistemazioni dei  Battaglioni, ci vestirono, anzi meglio, ci diedero la divisa coloniale (kaki). Ricordo ancora l'impressione che mi fece l'indossare quella divisa per me del tutto nuova, impressione mista fra lo scoramento e il piacere. Ancora pochi giorni: il tempo per dare qualche licenza (che a me non toccò) negli ultimi preparativi e il nostro battaglione comandato dal capitano Marino unito al dodicesimo partì per Napoli; porto dove noi dovevamo imbarcarci.

28 settembre 1935 [...] Erano le 12,05 quando la nave si staccò lentamente dal molo Pisacane gremito ancora di gente che salutava noi partenti, e fu con vero sollievo che andai a dormire, con l'animo interamente vuotato, col pensiero solamente occupato dall'incognita che ci attendeva.
La traversata fu lenta su di un mare calmissimo. Il primo porto che toccammo fu Porto-Said, nel mattino del 4 ottobre ’35; porto internazionale magnifico, gremito di navi (anche della marina inglese). Ci fermammo per sei o sette ore così ebbi modo di spedire una lettera ai miei cari e cartoline ai miei amici; la nave fu contornata per l'intero tempo di permanenza da barchette di italiani, in maggioranza donne residenti a Porto-Said, che ci salutavano con schietto sentimento patriottico augurandoci un presto ritorno vittorioso.
Si riprese il cammino ingolfandoci subito sul canale di Suez, dove di notte assistemmo al passaggio di navi passeggeri francesi, spettacolo magnifico di un effetto straordinario prima di sboccare nel Mar Rosso.
Qui cominciammo a sentire l'Africa: un caldo opprimente, il mare dava l'impressione che bollisse, si vedeva la costa da ambo le parti, rossa bruciata dal sole, tutta collinosa con qualche casa, (se così si può chiamare una catapecchia), di qualche misero pescatore che Dio solo sa come viveva.
Questo è durato sino al giorno due, sino all'arrivo al porto di sbarco Massaua. Qui siamo scesi dal piroscafo alle ore 17 (equivalenti all'orario italiano delle ore 14), il caldo a Massaia per quanto sia ora nella stagione invernale è di 55 gradi all'ombra che salgono fino a 70 gradi in piena estate. Meno male che ci hanno portato via subito.
A tappe fra autocarri e a piedi siamo arrivati dopo tre giorni a DECAMERE’ posto di tappa delle truppe italiane distaccatela Massaua ben 150 chilometri [...].
Qui siamo stati fermi sino al giorno 28. Nel frattempo hanno formato i vari plotoni e le varie squadre. Mi hanno messo con un gruppo di giovani, veramente bravi ragazzi della squadra ottica (squadra che sembrava da principio destinata a tutti i più umili lavori). Siamo stati costretti a sistemarci ogni squadra in una tenda a parte, noi facevamo parte della prima [...].
Dato che si aspettavano disposizioni per avanzare non si faceva proprio niente, sempre tutto il giorno in tenda, e siccome ci si annoiava un giorno con l'aiuto del capo tenda feci un giretto con il primo autocarro che incontrai (dato che gli autisti avevano l'ordine di fermarsi) fino alla capitale dell'Eritrea ASMARA, che dista 45 chilometri da Decamerè. Sono rimasto meravigliato di vedere una città così bella, e dico francamente mi sarebbe dispiaciuto se non avessi potuto vederla. Ho arrischiato un bel pericolo però, che mi ha tenuto in agitazione per quasi tutto il tragitto. Vi sono molti comandi di tappa prima di arrivare, dove vengono controllati rigorosamente i permessi da carabinieri, ma per buona ventura sono stato fortunato: sono tornato incolume.

28 ottobre [...] per dare il cambio a quelli della divisione Gavinana che da molto tempo erano avanti (molti Reggimenti della quale si erano comportati magnificamente nella presa di Adua) noi ottici avevamo l'impressione di essere inservibili tanto eravamo trascurati. Si incominciò così la prima tappa a piedi, zaino affardellato  ben equipaggiati con una buona provvista di acqua perché lungo il percorso non se ne trovava.
Il caldo era sopportabile e la prima tappa DECAMERE-CORBARIA km 15 si compì felicemente, ci impegnammo subito per impiantare la tenda che fu allestita alla meno peggio e decidemmo di andare tutti e sei i componenti la tenda, a vedere il paese, che distava un centinaio di metri, su di una collinetta, un paese primitivo fatto interamente di tukul. Riuscimmo a farci comprendere dal capo del paese (Goitana) il quale ci offrì un'ottima tazza di tè, non nascondo che aveva una figliola meravigliosa dell'età dai 14 ai 15 anni con due begli occhioni e un personale all'europea che ci fece rimanere tutti incantati.
Alla notte dormii un po' male, e questo fu disastroso per la tappa del giorno dopo di km 25, CORBARIA-TERAMNI. Arrivai abbastanza malconcio, in ritardo e con un po' di febbre addosso, mangiai poco e di malavoglia e siccome quando uno sta male anche lo spirito e il morale sono in ribasso, accaparrai baruffa col mio più caro amico, Galassi (amico già dal sesto ed anche lui marchigiano). Si fece la tenda e siccome mi sentivo male, mi addormentai. Dormii profondamente fino al mattino. Alla sveglia, erano le quattro, ristabilito completamente con una voglia matta di scherzare, di sorridere, rincuorai tutta la squadra con i miei frizzi, e fu fatta subito la pace con il mio amico. Dopo preso il caffè, si procedette subito a mettere a posto lo zaino cercando di alleggerirlo più che fosse stato possibile, nascondendo della roba dello zaino fra le coperte destinate al caricamento dei muli. [...] Il disastro accadde il giorno dopo 31 nella tappa ADDI-UGRI-BIVIO km 2. Noi rimanemmo indietro in sette o otto soldati. Il continuo camminare aveva quasi a tutti rovinato i piedi, i più malconci erano rimasti indietro. Quel giorno il capitano unito al colonnello doveva essere umor nero, perché appena arrivammo vedendoci in ritardo ci diede un bel cicchetto, rinforzato al più tardi da una morale che mi fece rabbrividire dallo spavento. Rimanemmo tutti costernati, e confesso che quella sera fui attratto da tristi propositi. Dormii male.
La nuova a tappa, BIVIO-ADI-QUALA’ km 16 fu superata con qualche sforzo, certo il continuo camminare nuoceva, avevamo bisogno di almeno un giorno di riposo invece si aveva fretta di arrivare ad Adua, e ogni giorno sprecato sarebbe stato un male. Feci il bagno che ne avevo proprio bisogno, e stavo ritornavo  all'accampamento scherzando con altri soldati, quando ci giunse la notizia che quella notte sarebbero arrivati gli autocarri destinati a portarci più in fretta ad Adua.
Accogliemmo questa notizia con vera gioia, era tempo! Ci fecero preparare i bottini acciocché appena arrivati gli autocarri saremmo potuti partire immediatamente.
Invece non arrivò proprio nulla e al mattino di buonora ci incamminammo per arrivare al MAREB, il fiume di confine fra le Eritrea e l'Etiopia.
La tappa fu molto lunga (km 30) un vero collaudo, e più che la paura di essere punito severamente, fu la forza di volontà che mi fece arrivare.
Al Mareb il colonnello fece delle raccomandazioni per il giorno dopo perché si entrava in territorio nemico, di non infastidire i neri che passavano (questi avevano una paura folle di noi perché ne avevano ammazzati parecchi quelli del 3° Gavinana) e tante altre cosettine.

ETIOPIA


L'entrata in Etiopia noi la facemmo il 30 novembre 35. Si incominciò subito a salire. Eravamo discesi fino a 1000 metri al Mareb e bisognava arrivare nuovamente ai 2500 a Adua.
La tappa non era lunga, km 20 sino a MAI-ENDABARIA, dove arrivai un po' stanco ma con il morale alto.
A Mai-Endabaria erano morti proprio nel punto dove accampavamo due soldati italiani, pochi giorni prima per uno sbaglio della sentinella, che a notte alta credendoli abissini li aveva mitragliati uccidendoli entrambi.
Egual sorte era toccata ad un ufficiale napoletano, in un primo scontro con le forze etiopiche in quello stesso punto.
La tappa del giorno dopo fu la più lunga ma anche da più bella per la varietà dei luoghi, MAI-ENDABARIA-ADUA (km 50). La compimmo tutti e bene,  senza stancarci molto. A metà strada, situato su di una collina, si trova il forte di Darò-Tachè (?), occupato dai nostri e dove ci fu un sanguinoso conflitto che costò diversi morti all'Italia e moltissimi all'Etiopia.
[...] Credevo che ad Adua ci sarebbe stato molto lavoro per noi. Non avrei neanche lontanamente immaginato che già il giorno dopo il capitano ci avesse chiamato e, fatto lo spoglio dei migliori, mandato in linea di confine ad AXSUM la città santa, aggregati al terzo battaglione indigeno comandato dal generale di brigata Luigi  Cabeddu. [...] Dal nostro posto si vedeva tutta la città magnifica più il nuovo campo d'aviazione che allora era in lavorazione. [...] Mi sarebbe molto piaciuto girar la città, visitare il magnifico tempio dove fu incoronato imperatore il grande Negus Giovanni nel 31 gennaio 1872 (lontano discendente della regina di Saba), ma non ci si poteva allontanare per evitare baruffe inevitabili fra noi italiani e gli abissini sottomessi. In ogni modo, giovedì e sabato, giorni di festa, discendevo egualmente bene armato a comprare sigarette, uova, tè in polvere (che pui noi facevamo) ecc. i primi giorni (specie quando c'eravamo noi soli) non volevano saperne di moneta italiana ma poi impararono a conoscerla e buona parte l'accettava.
[...] Una notte successe un pandemonio alcuni abissini della città, si erano portati sotto il nostro forte; all'intimazione del chi va là delle nostre sentinelle, hanno sparato un paio di colpi di fucile uccidendo la sentinella, da quel giorno fin quando ci sono stati loro erano pasticci anche per i guardiafili passare, non sentivano ragione. Meno male che poi venne la Divisione Gran Sasso che era di rincalzo e diede il cambio a questi bravi ascari.
[...] Il giorno 3 dicembre viene al campo un'altra squadriglia di apparecchi a rinforzare la prima. Quel giorno mi è rimasto impressa nella mente la disgrazia accaduta ad un aviatore, con un piccolo apparecchio da turismo dell'Ala Littoria che andò a sfracellarsi contro i tukul della città.
Il giorno dopo grande festa alla città santa, pellegrini venuti da tutte le parti formarono una processione e fecero vari riti nei quali non ci capii nulla, alla sera scesi in paese un mio amico Sassano e per un vero miracolo non cademmo in un tranello tesoci da alcuni abissini, riuscimmo a sventarlo e la pagarono molto salata; con l'aiuto di alcuni della Gran Sasso li bastonammo senza pietà.
Più i giorni passavano e più le città si riempivano dei nostri soldati.
La divisione Gran Sasso incominciò ad avanzare, così fece gran parte della XXI Aprile e qualche banda di ascari, riunendosi tutti  a Tacazzè verso il Lago Tana.
La venuta del nuovo Comandante delle forze armate, S. E. il Generale Badoglio (De Bono fu fatto Governatore), faceva prevedere qualche cosa di grande e di più spicciativo.
[...] Mese di dicembre, mese delle grandi emozioni.
il Negus sembra deciso a voler riprendere Axsum il giorno 15 sono state avvistate truppe regolari dell'esercito etiopico da apparecchi di ricognizione, che avanzavano decise.
Nella notte hanno attraversato il Taccazzè e nelle prime ore del mattino attaccavano alcuni nostri impreparati reparti che subivano, delle perdite gravi. Anche gli apparecchi della XXXVIII squadriglia andati per ricognizione hanno subìto delle avarie non indifferenti. Il Capitano stesso Comandante la squadriglia, è stato sfiorato da una pallottola andatasi a conficcare proprio nel sedile.
Il ritiro delle forze della linea avanzata è stato precipitoso. Lasciando nel posto un centinaio di morti, fra i quali, un Capitano, un Tenente, due sottufficiali, una decina di nazionali, il restante indigeni delle bande ascare. Anche nove carri armati sono rimasti in loro potere.
Le truppe italiane sono rimaste veramente male, a questo colpo insospettato bisognava rifarsi subito, la cosa sembrava davvero prendere una cattiva piega, e tanto per incominciare si rade al suolo Anda-Sellassiè mietendo.
[...] Una cattiva notizia giunge da Seladacà una legione di CC.NN. della XXI Aprile è stata presa fra due fuochi da bande abissine, mentre rientrava da un'ispezione, perdendo quattro uomini ai quali, questa brava gente, appiccò il fuoco.
La divisione Sila che si trovava molto dietro, ad Adua, con velocità straordinaria nello spazio di poche ore per mezzo di autocarri si portava intanto sulla prima linea, per non lasciar vuoti nel fronte che va da Macallè ad Axsum.
Uno di questi camion nella notte proprio nel passaggio della migliore piazza di Axsum si incendiò suscitando un vero pandemonio, perché essendo carico di munizioni, con il fuoco queste scoppiavano e mettevano in allarme tutte le guardie dei fortini che avevano in un primo momento, creduto ad una rivolta degli abissini della città.
Il di poi giorno 16, si spostò anche da Brigata e al Comando della piazzaforte ci rimase un colonnello di artiglieria. Mi dispiacque moltissimo di non poter partire con la Brigata[...]. Noi non potevamo partire perché avevamo molto lavoro e non vi erano ottici disponibili per darci cambio. Certo non nascondo che sarei molto volentieri andato avanti a menar le mani con i bravi indigeni ma pazienza, d'altronde il nostro compito era abbastanza faticoso, eravamo insostituibili per il momento.
[...] La mattina del 21 nuovo incidente; un apparecchio da ricognizione pilotato dal Capitano Comandante della XXXVIII squadriglia, nell'alzarsi, per un impreveduto vuoto d’aria, andava a cozzare nel pilone che segna la fine del campo, fracassandosi dopo due paurose giravolte a cento metri lontano, i piloti sono stati tolti feriti gravemente ma ancora vivi.
Il continuo susseguirsi di eventi (nei quali noi ci capivamo molto poco) aveva messo in allarme tutti, io con i miei tre amici avevamo deciso di montare la guardia a turno ed in caso di allarme ci saremmo schierati con gli altri.

Ricordo la notte del 21, non riuscivo a prendere sonno, i pensieri più strani mi venivano alla mente, la casa, la mia città, Pollenza, il lavoro, i miei amici,  tutto con una velocità e una lucidezza incredibili; il mattino mi sentivo abbastanza male. Passerà del tempo prima che si cancellino dalla mia mente queste giornate[...].
Il giorno 24 è subentrata la cavalleria tripolina, ho parlato con qualcuno di questi bravissimi giovanotti, ed ho avuto modo di notare come si è inculcato il loro spirito di italianità, tutti desiderosi di combattere sorridenti, con quei bei cavalli arabi, andavano verso Seladarà dove hanno sostenuto un combattimento (disastroso per gli abissini) insieme alle truppe della Gran Sasso che è durato un'intera giornata.
Ho visto i nostri morti di questo combattimento [...] ma quello che più mi ha colpito è stato un bellissimo giovane colpito negli organi vitali del basso ventre, deve aver tentato prima di morire, di aiutarsi con le mani, perché aveva queste sino ai polsi completamente intrise di sangue.

Questi spettacoli mi hanno fatto ribollire tutto il mio essere mettendomi addosso un odio profondo ed incancellabile per questa odiosa e vile gente completamente incivile che si nutre di ferocia e di vigliaccheria, ed è stato con vero satanico piacere che ho assistito alla impiccagione di quattro spie del paese, esempio giustissimo che mi ha fatto sorridere di gioia. [...]

ANNO 1936 ANNO NUOVO


Fu proprio il primo dell'anno che notai, fra le cuciture dei pantaloni, della camicia, e della maglia, diversi e svariati animaletti (pulci e pidocchi). Accolsi questa scoperta con stoicismo, era chiaro che non avrebbe dovuto tardare a venire, erano ben sei mesi che si dormiva in terra, e con la pulizia che lasciava molto a desiderare, per la mancanza di acqua, non si sarebbe potuto fare a meno.
Anche i miei amici diedero la caccia con esito positivo e ci si rise sopra (non si poteva fare altro) LA GUERRA È BELLA MA È MOLTO SCOMODA.
Il giorno 5, con immenso dolore vidi rientrare ad Axsum delle truppe che avevo visto partire e che credevo, dopo furiosi combattimenti sostenuti, di già lontano.
La cavalleria tripolina decimata, così il 14° Reggimento Gran Sasso.
Tutte le mie supposizioni cadevano miseramente, credetti allora ad uno smacco, ma compresi più tardi che la guerra si fa più col cervello che con le mani. Ho rivisto anche con grande gioia il mio amico Andichiel ritornato anche lui come tutti gli altri, lacero, sudicio, ridotto bestia; non riconoscevo più in lui il bel moretto ambizioso e pulito. Mi ha raccontato le sue peripezie di guerra (l'assalto ecc.) come la cosa più naturale di questo mondo (questi ascari hanno un sangue freddo da far paura) e si è convinto che anche i nostri in azione sono veramente bravi; sosteneva il contrario specie nei riguardi della Gran Sasso che io lodavo nelle discussioni che facevamo.
[...] Ho conosciuto durante la mia lunga permanenza ad Axsum un bellissimo tipo di creola. Si trovava molto vicino alla piazzaforte; vendeva vino di miele ed anche tè in un tukul abbastanza pulito, forse il più pulito del paese.
Aveva sedici anni ed era veramente molto bella; due occhi meravigliosi su un viso di un ovale perfetto, naso fine, ed una bocca carnosa molto ben disegnata. Il personale poi era degno di una dea, seni piccoli ed eretti, gambe ben tornite e nervose, un insieme insomma perfettissimo. [...] Mi piacque subito, anche per le sue maniere molto serie nel trattare i clienti, in maggioranza del paese, gente che anche lei doveva odiare chissà per quale ragione. Gli piacqui anch'io, me lo dimostrava con i suoi continui sorrisi. Vi andavo quando potevo, nei momenti in cui il lavoro me lo permetteva. Quando eravamo soli si sedeva vicino a me, mi parlava nel suo linguaggio, sforzandosi di farmi capire. Mi diceva che l'Italia è bella [...] Io le facevo capire che era bella lei e che in Italia non avrebbe sfigurato affatto, tutt'altro.
Una sera l'ho abbracciata, l'ho baciata sulla bocca, non ha resistito, anzi deve aver perduto il controllo di sé, perché si è languidamente abbandonata fra le mie braccia. Ho abbozzato un movimento un po' troppo azzardato però, che l'ha fatta svegliare di colpo. [...] Non ho più osato e non sono neanche tornato, capivo che non avrei fatto altro che rompermi a testa.
Le è dispiaciuto moltissimo, me lo ha spiegato in parole povere, un giorno che me la trovai in tenda chi sa come. Era molto bella, ma non ci potevo far niente, ero soldato ed avevo altri compiti ben più gravi da risolvere.
[...] Un po' in ritardo abbiamo saputo della grande cerimonia in Italia, L'OFFERTA DELLA FEDE da parte di tutte le spose. A Roma sull'altare del Milite Ignoto e nelle altre nostre città e borghi davanti al Monumento dei Caduti; questa cerimonia richiama spontaneamente alla memoria le suggestive leggende, e le vicende storiche di questo piccolo cerchietto d’oro, che rappresenta l'oggetto più caro delle donne italiane.
Un giorno una storia vera, non già una leggenda, racconteranno i posteri sull'anello nuziale. Questa storia diranno, e sembrerà una fantasiosa leggenda.
Un grande Paese d'Europa, reo soltanto di portare la civiltà, ad un popolo barbaro, fu cinto d'assedio, CON LE SANZIONI, da OLTRE 50 STATI.
[...] Giorno 19, sono stato ad Adua, per servizio del gruppo con un autocarro qualunque che incontrai al posto di blocco.
Al Comando del 2° Corpo d’Armata, ho rivisto tutti i miei camerati dell’8° che erano accampati proprio lì.
Sbrigate velocemente le mie cose sono voluto andare proprio in paese che si trova quasi ad un km. dal Comando; ho fatto così anche l'acquisto di una bella macchina fotografica che mi è costata un occhio della testa (390).
[...] Ho riconosciuto uno di Macerata (la mia città), ci siamo fermati un po' a discorrere, mentre la squadra si allontanava. Mi ha detto che era molto stanco così tutti i suoi camerati, non tanto per il lavoro quanto per i disagi. [...] Gli ho domandato se sapeva qualche novità sul fronte dalla parte di Macallè; mi ha risposto che non sapeva più nulla di nulla dalla presa di Adua, alla quale lui aveva preso parte.
Ci siamo lasciati perché era già buio ed anche perché, ho avuto fortuna di incontrare un autocarro di munizioni che andava verso Axsum.
Lungo il tragitto mi è saltata in mente la casa; e la mia cara mamma, ed ho pensato alle sue preoccupazioni per me con uno struggimento al cuore che mi ha lasciato intontito fino a che, uno scossone dell'autista non mi ha fatto capire che ero bello arrivato.
Il giorno dopo ho incominciato a fare fotografie, per poter mandare a casa almeno qualche ricordo di queste parti, che sono per me  luoghi di gioia e di dolore.
Dal giorno 20 sono ricominciate le ostilità e in grande stile, meno male, altrimenti qua si dorme troppo.
Il giorno 24 è ritornato Andichiel, aveva un piede ferito e zoppicava, veniva col tenente a prendere la roba e a sistemare, per il prossimo spostamento di tutta la Brigata, nella posizione che era già stata della 21 aprile ad Endaièsus, posizione che si trovava a circa 6 km. dietro di noi.
Siamo stati molto contenti di vedere il nostro amico, abbiamo fatto appena in tempo a scattare un paio di fotografie, che è dovuto subito ripartire, però: peccato!
Ho saputo proprio in questo giorno, da una lettera pervenutami da Pollenza, del richiamo di Sileoni Riccardo che io credevo a casa, anche lui del Gavinana.
Una notizia abbastanza piccante, mi ha colmato di gioia l'animo. Il fidanzamento della signorina Ida con il mio amico Dario. Meno male, era certo che lui non avrebbe creduto alle dicerie della maligna gente di Pollenza, gente che ha tanto lavorato per riuscire, com'è riuscita, a mettermi in discordia, con quella che per me è stata una seconda famiglia.
Il giorno 27 gennaio, ero intento a preparare la cena per me e i miei compagni di tenda quando ad un tratto quel suono ben conosciuto, che di per sé era un po' scocciante, ma che ora in guerra è preoccupante (l'allarme), fece drizzare le orecchie; un fuggi fuggi generale, tutti quelli, XIV che lavoravano lungo la strada correvano con zappe e fucili in spalla, per  poi rientrare in corpo e prepararsi per ogni evento.
Noi che eravamo soli e non potevamo muoverci, ci siamo preparati aspettando con ansia nuove. Dopo non più di cinque minuti abbiamo visto sfilare sotto i nostri occhi tutta la Gran Sasso equipaggiata al completo, mitragliatrici, cannoncini, ecc. credevo a qualche attacco, ma ho saputo quasi subito che era una semplice manovra; noi però non eravamo affatto convinti di questo, tanto più che appena incominciato a fare buio si sono messi a tuonare tutti i cannoni della piazza forte.
Uno spettacolo che non era punto rassicurante se si pensa che il nemico si trovava a pochi km. da noi, al passo del Gagà. Trovandoci soli con i componenti della stazione R. 4 che ne sapevano ancor meno, siamo stati in ansia per un paio d'ore, fino a quando cioè non ci hanno trasmesso che era tutta una prova per concentrare il fuoco, nell'insieme insomma, una vera manovra.
Il giorno dopo abbiamo saputo del furioso combattimento avvenuto dalla parte di Macallè, combattimento che è costato circa 6000 morti al Negus, ma anche molti  a noi: 309 della 28º Ottobre con 26 ufficiali, 310 ascari con 19 ufficiali. Questa notizia mi ha fatto veramente molto male, anche perché nella 28° ottobre ho molti conoscenti.
La vittoria è stata magnifica, gli abissini sono fuggiti lasciando nelle nostre mani molte armi e munizioni (mitragliatrici e cannoni), tutta roba fornita dall'odiatissima Inghilterra, che sta girando una carta pericolosissima.
[...] Il primo febbraio abbiamo avuto una gradita sorpresa, niente po’ po’ di meno, che un film e di produzione italiana, (L'eredità dello zio buonanima) di Angelo Musco. Non mi sarebbe mai passata per la mente neanche lontanamente che nei momenti che si stanno passando ci fosse uscito il divertimento. [...] Allo spettacolo che è stato davvero magnifico, hanno assistito: S.A. il Duca di Bergamo e il Generale Terziani, con quasi tutta la loro divisione.
Il giorno 3 gennaio con mia grande sorpresa ho visto un sottotenente mio amico e compaesano. [...] Abbiamo discusso molto sull'argomento attuale, poi siamo passati all'eterno predominante ragionamento di tutta la gioventù (l'amore), mi sono ritirato abbastanza tardi, un po' ebbro e dimentico di tutto.
[...] Il giorno 12 febbraio ci hanno fatto rientrare in compagnia, è stata una cosa improvvisa, come del resto tutto sotto le armi. [...] Si rientrava ad Adua con uno di quei grossi ceirano; non tutto il gruppo ottico, due sole stazioni, la nostra e quella con la quale comunicavamo (di monte Zohotò).
Il tragitto è stato faticoso a causa di una pioggia torrenziale durata pochissimo ma bastante per allagare tutta la strada. Siamo dovuti scendere due volte per dover aiutare il camion a oltrepassare dei punti, dove le ruote giravano a vuoto, per l'eccesso di fanghiglia, in ogni modo siamo arrivati.
Ci siamo subito impegnati per far la tenda che è stata allestita in quattro minuti. La notte abbiamo dormito male tutti, a terra con un'umidità straordinaria non era da sperare meglio.
Abbiamo saputo oggi da un soldato dell' 8° venuto da Mai-Endabaria, un fatto gravissimo successo proprio in quel posto; una banda di abissini da tempo infiltrata in territorio occupato, ha trucidato 50 operai fra cui un ingegnere con la propria moglie e una bambina.
[...] Oggi sono venuti al fortino diversi operai, tutti armati di fucile in seguito all'accaduto, per chiedere delle asce; ci siamo fatti raccontare così come stavano di preciso le cose da uno che era sfuggito per miracolo[...]. Chi ha potuto è fuggito. Settantacinque sono stati i nostri morti, e quaranta gli abissini. Ho visto ieri i morti, tutti orribilmente mutilati, lo strazio più forte era la moglie dell'Ingegnere alla quale avevano tagliato i segni e tirato fuori ventrami. [...] Mi sono avvicinato ad un gruppetto di soldati che parlavano fra loro sommessamente, erano tutti della Gavinana, parlavano di congedo, delle loro inutili speranze di andare in Patria per aprile, tutti reduci dalle vittorie di Macallè, ora qui a Mai-Endabaria, dopo aver ricevuto il cambio da reggimenti freschi. Ho saputo così del trasferimento del loro Colonnello,  avvenuto dopo il disastro degli operai, disastro appioppato a lui, ma chi sa se è vero; mi sembra un  provvedimento un po' troppo grave.
Ho ricevuto una lettera da casa, vi erano anche poche lire di mio padre, che ho rilette 50 volte, e mi sono sempre più convinto del gran bene che mi vuole; bisogna che confessi, mi hanno davvero commosso.
Ho qui al Forte l’addetto alla stazione che comunica con Darì-Taclè. È un simpaticissimo giovanotto di nome Zanella, anche lui della mia stessa compagnia, fervente cattolico. Ieri si era talmente infatuato nel discorso che non vedeva più nessuno, trasportato come era dalla sua fede. Lo ammiro davvero, ragazzo completamente equilibrato, padrone di sé; non ho mai sentito uscire dalla sua bocca una lagnanza, composto anche durante la marcia nei momenti critici quando anche lui non si sentiva più in grado di camminare. Mi sento misero vicino a lui.

3 marzo. Oggi da Cassa-Dalà ci hanno trasmesso delle brutte novità, sono stati fatti a pezzi due militi per lo scoppio di una cassa di bombe, meno male che la truppa era lontana al trinceramento, chi sa quanti ne avrebbe ammazzati.
Non si sa di preciso come sia accaduto perché i due poveri militi, unici presenti, sono morti, ma deve essere stato per sbadataggine, con qualche cerino gettato dopo aver accesa una sigaretta.
Abbiamo saputo anche dell'impiccagione di tre abissini accusati di aver partecipato all'attentato degli operai (impiccagione avvenuta a Mai-Lalà). Sono stati trovati in possesso di carte, foto e roba di proprietà di detti operai.
Abbiamo mandato a casa, tutti e quattro, ognuno per proprio conto £. 20 destinate per la compera della lotteria di Tripoli.
Se per caso la Dea bendata si prendesse gusto di far vincere qualcuno di noi la somma verrebbe ripartita in quattro parti uguali.
[...] Il giorno 11 siamo passati aggregati ad un Btg.di milizia 438° Btg., autonomo, da poco venuto in Africa. [...] Il 14 ci siamo dovuti spostare anche noi. Tutti gli uomini dislocati nel secondo Corpo d'Armata dovevano rientrare in sede che si trovava nelle primissime posizioni. Il compito difensivo spettava al 4° che doveva occupare tutto il settore da Axsum Ada indietro. [...] Eravamo una trentina, quando abbiamo ricominciato il calvario a piedi. Meno male ci hanno fatto lasciare il bottino che sarebbe stato portato dai camion che caricavano il rimanente materiale.
[...] La terza tappa, quella di SELACLACA è stata abbastanza faticosa, eravamo in tutto al 65° km., con le altre due del giorno prima. Siamo arrivati che ancora si compiva il rastrellamento; i morti abissini erano accatastati dappertutto specie sui monti che contornavano il luogo.
"Saranno stati circa 10.000, armati di tutto punto, mitragliatrici, cannoncini e una posizione naturale insormontabile, eppure hanno dovuto sloggiare egualmente dopo aver lasciato sul terreno la maggior parte degli uomini.
Non abbiamo dormito quasi nessuno. Pallottole in canna, baionetta innestata siamo stati in aspettativa.
Il mattino di buonora siamo ripartiti per ANDA-SELASSIE; lungo il cammino un odore di cadaveri in putrefazione da morirne, anche molti moribondi che mandavano gli ultimi gemiti, una cosa non tanto simpatica insomma.
Si lavorava per la sistemazione della strada ed anche per far scomparire tutta codesta roba raccapricciante, la 1° Febbraio pensava per i cadaveri la Gran Sasso per la strada.
Di questa battaglia dello SCIRE’, potrei raccontare molti episodi avendoli vissuti da vicino, ma sarebbe troppo lungo[...].
Dopo Anda Selassiè km. 45, abbiamo fatto quella di DEBENGUINA’ km 55, in due tempi, ma è stata egualmente faticosa. Lungo il cammino ho rivisto i resti dei nostri carri armati comandati dal povero capitano Grippa (che io conoscevo molto bene) caduti nelle loro mani pochi giorni prima di Natale[...].
Bene o male siamo arrivati a DEBENGUINA’,  posto incantevole dove si è fermato il 2° Corpo d'Armata.
Siamo stati fermi un po' di tempo, ho avuto modo di vedere così i posti dove loro si nascondevano, veri e propri palazzi naturali scavati nella roccia; sarebbero sfuggiti a qualsiasi sguardo dei nostri osservatori,  impotenti in simili casi.
Sono entrato in una di queste meraviglie non vi mancava proprio nulla, c’era anche l'acqua che è una cosa difficile da trovare.
Un immenso vallone letteralmente pieno di piante in maggioranza palme; cosa che fa rimanere veramente incantati.
Una cosa è preoccupante: lavandosi con quell'acqua non è difficile prendere le piaghe tropicali, piaghe inguaribili con questo clima, che potrebbero giocarti un cattivo scherzo.
Il giorno 22 marzo abbiamo raggiunto la compagnia (in camion) che si trovava 80 km. avanti al Tacazzè. Il nostro capitano ci ha ricevuti cordialmente, lodandoci per il nostro servizio svolto bene.
Credevo che si sarebbe dovuto riprendere il lavoro di stazione, invece tornarono di nuovo le squadre guardafili,  telefonisti, ecc.
[...] Dato che noi avevamo sempre servito con la stazione, hanno preferito rimandarci indietro per servizio del Corpo d'Armata. È stato davvero un colpo per me che amavo vivere la guerra.
[...] Siamo arrivati così alla S. Pasqua, che abbiamo passata alla bene e meglio (mettiamoci una pietra sopra). Ho fatto la S. Comunione, mi sono levato così un peso enorme che mi gravava sul petto.
I giorni passavano ormai senza più interesse, degne di nota sono le febbri reumatiche che accusai il 20 aprile e mi durarono una decina di giorni, (da principio il tenente medico credeva ad una pleurite secca, tesi che poi scartò completamente).
Ma le cose non procedevano tanto bene per il mio fisico, che incominciava a risentire gli strapazzi, e il giorno 4 maggio dovetti essere ricoverato all'ospedaletto 214 della 21 Aprile, per intercolite acuta.

È stato nell'ospedaletto che ho saputo dell'entrata nelle nostre truppe in Addis Abeba; l'entusiasmo era arrivato al colmo; anche il capitano dell'ospedale aveva perduto il controllo, e si è messo a piangere come un bimbo; da per tutto si sentivano colpi di artiglieria, di mitraglia, e di fucili, sembrava proprio un manicomio. Non riesco ad immaginare quello che sarà in Italia.
[...] Il giorno 13 maggio sono rientrato in compagnia guarito (dicono), ma il giorno dopo sono rientrato all'Ospedale con un febbrone. Chi sa che cosa avrò, ma non bisogna che mi disperi, altrimenti può andar peggio.
In compagnia sono incominciate le istruzioni interne, come da reclute. Preparano tutti per le grandi sfilate che si dovranno fare in Italia.
[...] Il giorno 22 maggio, sono di nuovo all'ospedale 464 della Gran Sasso. La febbre continua ha gettato giù completamente il mio morale; sono ridotto in uno stato davvero miserando. Sarebbe curioso, che ora che tutto è finito crollassi miseramente.
Giorno 27, mi sento meglio, la febbre è cessata, mi viene da sorridere rileggendo le mie ultime note, dovevo essere molto malato per scrivere certe sciocchezze che non mi fanno veramente onore.
Giorno 30, sono completamente guarito, mi sembra di essere rinato tanto mi sento vivere.
Qui alla mia sezione, il capo reparto, è il tenente Frattarola di Matelica (MC), e debbo a lui il mio pronto ristabilimento.
Oggi mi ha fatto la proposta di rimanere come aiutante di Sanità. La proposta mi va genio.

14 giugno; da diversi giorni il fungo da assistente.
Ho conosciuto una nuova vita, che forse è la più terribile: l'infermiere. Vi sono molti ammalati gravi: un romano con la polmonite, uno del 13° con un principio di tifo e un insieme di mali che lo rendono completamente intontito; vi è anche un povero giovane che è tisico, mi fa molto pena, nei suoi grandi occhi neri si legge lo sgomento e quasi il sentore della prossima fine.
15 giugno; questa notte sono dovuto rimanere sveglio, perché il romano ha perduto i sensi e bisognava vegliarlo. Non avevo fatto mai osservazione come sia tremendo vegliare gli ammalati, bisogna avere una speciale disposizione ed una pazienza a tutta prova.
La mattina del 17 è morto il Romano e quello del tifo. Nel periodo che sono stato all'ospedale 464, ne ho visti 14 morire, venivano quasi tutti smistati da ospedali da campo di Andiarcai e Debarek, e non potevano proseguire il loro viaggio in giù, per ospedali migliori, perché si trovavano in condizioni molto gravi.
Il 2 luglio viene l'ordine di smantellare l'ospedale e di partire per Teramni, luogo di concentramento della Gran Sasso.
Il tenente Frattarola a mia insaputa mi preparò la cartella clinica in maniera tale che io fossi smistato ad Axsum. Francamente mi è dispiaciuto, sarei andato più volentieri a raggiungere i miei amici, ma mi consolo pensando, che un bel lettino al coperto, ora che le grandi piogge sono cominciate, non è affatto disprezzabile.
Son partito così il giorno 3, con tutto l'ospedale. C'è voluta l'ira di Dio per poter uscire da quel pantano che è Debenguinà, le ruote delle macchine giravano a vuoto, e non c'era mezzo per poter uscire.
[...] Ho salutato il tenente Frattarola, e tutti gli altri, in fretta e sono andato all'ospedale 523 che di già conoscevo [...].
Il giorno dopo, mi hanno di nuovo smistato per Adia-Buna, poco lontano da Adua, per una strada magnifica, completamente ben messa; ho visto sfilare un panorama diverso da quello di prima; tutte fabbriche di ferro e mattoni che formavano dei villaggi magnifici, una cosa straordinaria se si pensa che pochi mesi prima da per tutto era squallore. Ad Adia-Buma hanno impiantato un ospedale che credo sia il secondo dopo quello dell’Asmara. Vi sono tutte le comodità.
Mi hanno passato per secondo piatto anche le  POLPETTE , con il PURRE' DI PATATE, si sta divinamente bene, ora mi incomincia ad impensierire il prossimo ritorno in Compagnia.
Speriamo che si decidano di farmi tornare indietro.
È incredibile come sia forte in me il bisogno di tornare a casa, il bisogno degli affetti. Come invidio coloro che amano, che hanno settimanalmente la gioia immensa di leggere scritti di una donna che li ama. Nessuno può capire come sia tremendo essere molte e molte miglia lontano da casa e sentirsi soli, terribilmente soli. Si, ho una mamma che amo come si può amare una Madonna, ma ad un giovane di 24 anni non può bastare.
Il giorno 15 sono partito per ADI-QUALA’ all'ospedale da campo fisso.
Qui si sta abbastanza male, il vitto è orrendo. La vita è insopportabile; oggi stesso mi son fatto mettere fuori, sarà meglio che ritorni in compagnia a seguire il destino dei miei amici.
[...] Ho avuta la fortuna di trovare un autocarro che arrivava sino a Selaclacà, proprio nel mattino verso le 5, così non ho preso neanche un goccio d'acqua lungo il tragitto. Ad Adia-Buna, abbiamo fatto un piccolo spuntino, offerto dall'autista, un sergente maggiore dell'autoreparto, simpatico ragazzo che si è mostrato molto gentile con me.
A Selaclacà, mi sono trovato con Dario Baroni che fa parte del 16°. È stato molto commovente il nostro incontro, non potevo neanche parlare, tanta era la commozione. Sono stato suo ospite per due giorni, ci siamo raccontati tante cose, (ci vogliamo davvero bene), mi ha fatto trovare altri due miei amici, un carabiniere di Pollenza e uno di Macerata della Sanità.
Sono partito con rincrescimento la mattina del giorno 3, su di un autotreno carico di fieno, diretto proprio a Debenguinà.
[...] In compagnia ho trovato tutto cambiato.
Il comando di Btg. non c'era più. Così la prima compagnia e la compagnia radio, erano tutti ad Axsum. Della seconda vi erano una trentina di uomini, il rimanente, da Debarek fino a Tacazze, sparso lungo le linee della 21 Aprile e 1° Febbraio.
Mi hanno subito rimesso in squadra (la solita), che allora era addetta al servizio idrico[...].
Il giorno 16, venticinque per compagnia ci hanno aggregato al 4°Battaglione. Lo sgomento è stato indescrivibile, le cose vanno da male in peggio, se ci passano effettivi stiamo freschi.
Il viaggio sino ad Adua è stato disastroso, rimpiangevo i giorni quando per quella strada si andava a piedi.
Quanto alla disciplina, è uguale a quella rigorosissima d'Italia; son quasi tutte reclute che al nostro apparire tutti sporchi, laceri, casco sfondato, ci guardavano con un certo senso di ammirazione.
La notte si dorme alla meglio. Chi ha trovato un cuore pietoso ha trovato un posticino bene, il resto ha dormito in terra.  È molto umido ma non ci si bada[...].
Chi ci capisce qualche cosa e intelligente, il giorno 24, dopo otto giorni di magnifica permanenza ad Adua, ci rimandano in compagnia. Mi è sembrato da principio che fosse giunta l'ora fatidica[...] ma una nuova delusione mi attendeva. Non ci hanno dato neanche tempo di respirare che ci mandano di nuovo dislocati a Buie[...]. Molti sono gli ammalati di malaria. Chi ha dato a questo luogo il nome di "Vallone della Morte" non ha affatto sbagliato: è infestato da animali come coccodrilli, ippopotami, serpenti un'infinità ecc. ecc.
[...] Il giorno uno settembre è giunta la notizia decisiva. È indescrivibile la gioia che abbiamo provato nel leggere il fonogramma firmato dal nostro colonnello che parlava chiaramente nel nostro rimpatrio. Non se ne poteva proprio più, eravamo ridotti male.
Il giorno dopo abbiamo avuto il cambio dal 16 Batt., e fra gridi e canti di gioia siamo partiti per raggiungere l'autoreparto della 1 Febbraio ed esser pronti il dì seguente a prendere la colonna che ci avrebbe portato a Degrabeù, posto dove si concentrava da Seconda Compagnia [...].Il nostro arriva a Degrabeù. È stato accolto con entusiasmo dai nostri camerati. Ho ritrovato fra questi gente che non vedevo più dalla nostra partenza a Decamarè [...].
Tutto quello che mi è passato per la mente in questi giorni è roba dell'altro mondo, la gioia è dipinta in tutti i visi, alla sera si canta si ride ci si ubriaca un po', avevo fatto una bella brandina che ho dovuto abbandonare con rimpianto, ma questi giorni non si sentono i sacrifici, si sopporterebbe qualsiasi cosa.
Il giorno 7 è arrivata l'autocolonna che ci doveva portare a Teramni.

ERITREA RIMPATRIO


[...] La prima tappa l'abbiamo fatta ad Axsum, con sommo dispiacere perché abbiamo dovuto piantare la tenda su di un terreno umidissimo per le continue piogge. Per colmo di sfortuna ci avevano ritirato una coperta così, fra il freddo  e l'umidità, non ho potuto assolutamente chiudere occhio.
Decisamente sono destinato a non dormire questi pochi giorni che ci sono rimasti. Siamo giunti a Teramni proprio mentre pioveva a dirotto. Abbiamo fatto la tenda molto di malavoglia, tanto sapevamo benissimo che non ci si poteva dormire. E per farmi montare più il nervoso, ci mancava proprio la venuta di un tenente della Cosseria, il quale pretendeva che ci allontanassimo dalla sua baracca, di almeno dieci metri. Forse perché gli facevamo un po' schifo, noi tutti infangati, lui invece tutto profumato, sbarbato, che pareva uscito proprio allora da un parrucchiere (immagino sia stato un imboscato di retrovia). Gli abbiamo risposto un po' male poverino, e non ha affatto reagito, deve aver capito che c'era poco da fare.
Il giorno 14, ci siamo adunati e a chi era impresentabile gli hanno cambiato giacca, pantaloni, scarpe, ecc.. [...] A me mi hanno completamente vestito; solo le scarpe mi son rimaste vecchie. Sembravo una recluta.
Siamo rimasti a Teramni sino al 22 settembre. In questo periodo, che mi è parso interminabile, ho assistito alla partenza per il  porto d'imbarco, del 41º e dell'artiglieria della Cosseria.
Il giorno 23 è arrivata l'autocolonna che ci doveva portare a Massaua. Erano una settantina di macchine fra Studebaker, Ford, BexFord, le ultime bottino di guerra. Siamo partiti alle ore 14. Credevamo di passare per Asmara invece siamo passati per Decamerè, vecchia strada da noi già fatta a piedi un anno prima, quando cioè di Decamerè non esisteva che il nome, ora è un centro importantissimo ben organizzato.
Abbiamo fatto una sola fermata a Nefasit. Siamo arrivati ad ora tarda  a Massaua. Il caldo è terribile. L'imbarco è proceduto lento sino alle tre del mattino sul piroscafo “Lombardia”, che doveva caricare ben cinquemila uomini. Mi hanno dato una cuccetta situata in un corridoio senza l'ombra di aria, dove i primi giorni nel Mar Rosso sono stato molto male.

Umberto Peschi


 
 
 
 
 
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