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L'evoluzione artistica di Umberto Peschi
Uno dei rapporti più immediati tra l'uomo e l'epoca in cui vive è dato -oltre che dagli infiniti aspetti di un problema di tal fatta, aperto a numerosissime sollecitazioni e motivi - dallo spazio che si è venuto a creare intorno a lui. La cosa potrebbe parere ovvia al punto da essere presa come una autentica petizione di principio poiché se lo spazio condiziona l'uomo, quest'ultimo a sua volta con le sue opere, artistiche o no lo plasma e gli dà un'impronta particolare. Allora s'è tornati all'inizio, al punto di partenza senza aver risolto nulla. Tutto questo però ad una impressione iniziale e superficiale. Infatti se consideriamo un tale problema da un punto di vista dialettico, al termine dell'analisi ci troveremo a dover constatare la esistenza di una osmosi -di un dare ed un avere -tra l'individuo e la realtà, tra lo spazio che egli si è costruito o alla cui costruzione ha concorso. Così tutto apparirà chiaro ed anche l'evoluzione di certi artisti, come ad esempio quella di Umberto Peschi, attraverso il tempo non sarà più legata solamente a fattori di carattere individuale. Non si fraintenda, quest'ultima componente dell'attività di un artista che non è certo da sottovalutare, anzi è una molla, è la base sulla quale si fonda la cosidetta autenticità, quella caratteristica che fornisce all'artista stesso una continuità ed una immediatezza tali da infondere alla sua opera elementi e particolarità irrepetibili. Queste considerazioni mi sono state suggerite, e le ho appena annotate, allorché visitando lo studio di Peschi, dopo essermi arrampicato su per una buia quanto mai familiare scaletta, incerta e palpitante, ebbi modo di vedere accanto alle sue più recenti sculture un pezzo che risaliva all'epoca in cui egli, con fervore giovanile, partecipava al Gruppo Boccioni di Macerata ingaggiando battaglia con i «passatisti» dell'epoca e proponendo loro, come del resto quasi tutti i componenti del secondo futurismo, I'aereo-pittura. Su questo periodo, che ancora non è stato sufficientemente analizzato, si sono puntati anche di recente gli strali della critica -non ultimo Miche' Seuphor -che rimprovera una fatale involuzione a questi figli o nipoti «abnormi » del Futurismo. La qual cosa ha di per sé una sua validità che però non deve essere -almeno a mio parere -accettata apolitticamente. Che gli aereo-pittori siano alla fine dei conti scesi sul terreno del cosidetto passatismo per il recupero di certe immagini da loro operato è pur vero ma non è tutto. Infatti se si considera l'atmosfera, gli intendimenti, questo voler esprimere, magari con un trasporto ancora romantico. ritmi dinamici e sintesi di spazi oggettivi legati alla vicenda, al rapporto uomo-macchina, pur restando valida la sensura di cui sopra, il loro operare non verrà più tacciato d'inutilità anche se molti dipinti erano sostanzialmente annullati da un notevole decorativismo. Ma non è tutto. Se si tiene presente la storia di vari artisti formatisi a questa corrente, una delfe poche che non si allineò al Novecentismo -ricorderemo però anche il gruppo Comasco, i pittori del Milione e quelli di Corrente (la rivolta di questi ultimi fu però più di carattere politico, dato il loro ritorno ad un post-impressionismo di estrazione espressionista) non s'avrà difficoltà a vedere come le premesse del secondo futurismo diedero una spinta, crearono una forma mentis aperta poi a problemi di ben altra natura e accanto ad un Peschi ricordiamo in questo momento un Korompay. Ebbene sotto un simile profilo è da prendere in esame tutta la produzione dell'artista maceratese poiché già all'epoca del secondo futurismo lo si trova impegnato in un discorso di carattere plastico che veniva ad articolarsi con un serrato rigore di forme bloccate in cui si notava già come Peschi fosse affascinato dal situarsi architettonico di masse intese nella loro totalità e giostrasse con una dialettica di vuoti e di pieni complementari. Ora, e già da moltissimi anni, Peschi si è liberato da ogni contingenza narrativa ed è quindi pervenuto, proseguendo logicamente il suo discorso, ad una serialità ritmica di piani che organicamente determinano, all'interno delle opere stesse, variazioni e modulazioni tali da strutturare nuovi spazi. Se prendiamo in esame ad esempio queste emblematiche «colonne" scolpite nel legno, traforate al punto da essere e da costituire degli autentici itinerari visivi che ci portano a riscoprire un mondo equilibratissimo e silenzioso di masse e di elementi autonomi e pur tuttavia integrantisi, noteremo come esse siano, proprio quell'esatto geometrismo che le contraddistingue, il paradigma di questa nostra epoca e l'espressione di un tempo. Altre volte invece abbandonato il verticalismo di questi “monumenti ", piccoli per dimensione, Peschi affronta superfici che si allargano come a ventaglio ed il cui dilatato ritmo diventa più coinvolgente mentre prima era interiore. E' da porre in risalto inoltre, a questo punto -e non certo per inciso - quella affascinante osmosi che intercorre tra la materia, il legno di solito, e l'intervento operativo dell'artista il quale attraverso questo suo vitale linguaggio svincolato da ogni remora figurativa, che può essere fatto risalire anche alle storiche esperienze neoplastiche, riesce a creare con la precisa misura delle cose un punto fermo, meglio, una serialità di punti ai quali egli viene così ad affidare il tema di un secolo, improntato al tecnicismo, senza però mai rinunciare, alla sua palpitante presenza umana. E affermando questo penso per un attimo, forse con un'azzardata associazione d'idee, a quelle monumentali vestigia pervenuteci dalle origini dell'umanità chiamate dolmèn.
Luigi Lambertini
(Dal catalogo “Claudio D’Angelo, Umberto Peschi” Galleria Fiamma Vigo Roma, Via Principessa Clotilde, 1 – 17-30 ottobre 1973)
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Presentazione per la mostra personale alla Galleria del Vicolo Quartirolo, Bologna
Ciliegio, ancetà, acacia, framire, tiglio, tek, ...sono alcuni dei legni che Umberto Peschi adopera per le sue sculture. E' un autentico mondo di cui si potrebbero scrivere pagine intere, un mondo fatto non soltanto di venature e di toni -assai di rado Peschi mortifica la naturalezza del legno con vernici od altro -ma anche di odori e di molteplici realtà che si scoprono perfino al tatto. E' un mondo che sulle prime potrebbe apparire artigianale se ad un certo punto non esistesse qualcosa che produce uno scatto. L'aderenza al mestiere da parte dello scultore è totale, c'è la fedeltà allo strumento, agli strumenti, al materiale usato, c'è quella conoscenza dei loro vari requisiti, esiste un insieme di valutazioni e di rapporti che quasi per sortilegio si trasformano in fatto poetico animando questi legni, alcuni dei quali provengono da terre lontane al punto da sollecitare fantasie salgariane... Ma fermiamoci qui chè corriamo il rischio di andare fuori strada e ritorniamo alla materia in sè ed a quel rapporto che s'instaura ogni volta tra l'artista e quest'ultima facendo scaturire, in un silenzio rotto soltanto dallo stridìo della sega o della piallatrice o della toupie, un dialogo profondo, quasi ancestrale. Il legno, dunque, innanzi tutto.
Solitario ed appartato nella sua antica casa maceratese, fatta di piccole stanze sovrapposte, Umberto Peschi da anni recita la sua parte quale protagonista assoluto in un palcoscenico piccolo e polveroso, in un atelier che ha gli odori della falegnameria e che al tempo stesso ricorda lo studio di un architetto. E non si tratta soltanto di un'annotazione di colore; è una realtà che appartiene proprio al lavoro dello scultore, che affonda addirittura in quella che si può definire la sua poetica. Per ogni scultura infatti egli sceglie il legno adatto, mosso da precise finalità, da intendimenti attentamente soppesati e studiati. Secondo una valutazione superficiale un legno potrebbe equivalere ad un altro e, poniamo, una certa forma scavata in un blocco di ciliegio potrebbe essere ottenuta anche con il tek; ma sarebbe un errore. Peschi le sue scelte le compie a ragion veduta, seguendo la logica dei propri pensieri -una logica essenzialmente progettuale - adoperando il materiale più idoneo a dar forma a quell'idea. E' una scelta dettata non soltanto da una questione di gusto, da una propensione addirittura sentimentale od emotiva che ci riporta a quel dialogo, cui accennavo un attimo fa, così profondo e continuo con una materia tanto calda e palpitante, tanto vera da essere sorgente di poesia, di storia, di evocazioni anche. Sono fattori di cui si deve tener conto, sui quali però prevale un'opera- zione mentale ben precisa; è un calcolo, è una progettazione, è una scelta. Inventate la forma e la struttura dell'opera l'individuazione del materiale è quasi contemporanea. Peschi a ciascuna sua idea dà il corpo che più le si attaglia, per il quale addirittura è nata; e per corpo si intenda logicamente la materia. Ci sono considerazioni anche di ordine tecnico oltre che estetico che portano ad usare determinati materiali piuttosto che altri. L'insistenza ed una somma di fori ottenuti con la fresa tanto da ricamare come un merletto quello che agli inizi era un blocco solido e pesante, comporta inevitabilmente la scelta di un legno piuttosto che di un altro. E' questo soltanto un esempio. Il concetto della forma dunque, la scelta del materiale, l'intervento per risolvere determinati problemi sono i tasselli che nel loro insieme scandi- scono il lavoro dello scultore marchigiano il quale non lascia mai nulla al caso e all'improvvisazione. Si è accennato al rilievo della progettazione, all'individuazione della forma attraverso un'ideazione ed uno studio, ebbene, se in ciò abbiamo un punto di partenza abbiamo al tempo stesso un punto di arrivo con una sostanziale differenza però. Quanto appare categorico, rigido ed anche asettico il lavoro progettuale, tanto è ricco di rimandi, è vivo il risultato cui Peschi perviene.
Il suo è un mondo in cui la geometria prevale, geometria quale definizione e struttura di una forma, quale misurazione di rapporti, addirittura di ritmi; geometria quale continua invenzione. Da qui una serialità, una continuità che porta a sequenze di pieni e di vuoti in uno sviluppo continuo, mosso da un gioco di ombre e di luci che vengono determinate da scansioni, da strutture, in una parola, da questi moduli.
Nel 1973, in occasione di un'esposizione a Roma, Peschi pubblicava in catalogo un testo, che avevo scritto circa dieci anni prima e che era rimasto inedito. In esso accennavo già ad una dialettica di vuoti e di pieni complementari e ad una serialità ritmica di piani che organicamente provocano variazioni e modulazioni tali da strutturare nuovi spazi. Sono concetti che risalgono ai primi degli Anni Sessanta e che mi pare trovino ancor di più oggi una loro ragione nell'opera di Peschi. Il fatto che lo scultore marchigiano abbia reso componibili le sue sculture esaltandone all'estremo l'origine progettuale e rendendo ancora più complessa la dialettica tra forma e spazio, tra l'idea della forma ed il suo essere costruito -costruito una prima volta per poi essere ricostruita oppure aperta e variata a seconda di come viene ricomposta -esalta questa ritmicità, queste cadenze di forma e di non-forma, di vuoto e di pieno, di luci e di ombre. Se in passato le sculture di Peschi alludevano a degli incastri adesso questi sono reali e l'allusione si riferisce, a sua volta definita e concreta, alla struttura dell'opera stessa vista nel suo insieme. Intendo dire che se in passato la struttura della scultura alludeva ad un suo scomporsi, adesso il discorso si è capovolto e pertanto quella dinamica che è la caratteristica saliente dell'opera di Peschi -non per nulla le sue origini si ricollegano all'eredità futurista -quel senso dello spazio che la definisce, vengono a loro volta esaltati, rarefatti e limpidi, categorici e vitali.
Luigi Lambertini
(Presentazione per la mostra personale alla Galleria del Vicolo Quartirolo, Bologna 16 gennaio-4 febbraio 1982. Il testo è stato nuovamente pubblicato nel catalogo della rassegna Colori, Forme, Radici; i versanti della creatività, a cura di Alvaro Valentini, Pollenza, ottobre 1990)
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