Elverio Maurizi - Associazione Peschi

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Elverio Maurizi

 


Il Futurismo nelle Marche
Il discorso sul Futurismo nelle Marche porta lontani nel tempo, addirittura all'immediato dopoguerra, alle prime esperienze artistiche di Ivo Pannaggi, che ancora diciottenne dipingeva sulla spiaggia di Porto Civitanova Barchevento o cominciava a pensare alla sua opera più amata Mia Madre legge il giornale. l successi romani, le roventi polemiche àl Circolo di Bragaglia consigliano il giovane concittadino a organizzare nella sua città, in seno alla 1.a Esposizione d'arte di Macerata, una sala futurista, dove sono presenti opere di Boccioni, Balla, Prampolini, le sue e quelle di numerosi altri personaggi di quel mondo vivo e tumultuoso. È logico che, anche nelle Marche, durante la Mostra, nascessero polemiche a non finire. Luigi Bartolini in testa ai critici locali attacca la rassegna, sostenendo che l'unico pregio dei futuristi era quello di dare un colpo all'accademismo imperante. Da Urbino, Giuseppe Steiner, con i suoi Stati d'animo disegnati e le sue poesie riecheggia da un capo all'altro della regione il fascino segreto della rivolta nei confronti di un passatismo non ancora debellato dalla guerra e dalle ire futuriste, nella speranza di creare una società più aderente alla modernolatria, invocata da Marinetti, fin dal Manifesto de11909. Dieci anni dopo, Bruno Tano, anch'egli giovanissimo, inizia a Roma la sua breve parabola artistica, ottenendo successi e vivi consensi di pubblico e di critica. Nel dicembre 1932, la cosa era ormai nell'aria, si forma a Macerata, promosso da Sante Monachesi, Mario Buldorini, Rolando Bravi e Fernando Paolo Angeletti, il Gruppo Futurista Maceratese, cui aderirà subito anche Bruno Tano, che ne condividerà la leadership con il primo. In breve, intorno al nucleo iniziale, che aveva sollecitato e ottenuto il patrocinio dello stesso Marinetti, si coagula l'attenzione e l'interesse di tutti i giovani più aperti e vivi della città: Chesimò (Mario Monachesi) ed Ermete Buldorini, ambedue musicisti e il primo anche pittore; Felice Raniero Mariani e Alberto Peschi, Amorino Tombesi, Umberto Peschi, Fulvio Benedetti, Wladimiro Tulli, Giovanni Sabalich, Enzo Pandolfi, eccetera. Intorno a loro, inoltre, gravitavano artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, umili operai i quali sentono l'ansia di rinnovamento e partecipano del clima avanguar- distico che in breve porta, nel campo delle arti, la città di Macerata al primato morale su tutta la regione. Gli artisti del gruppo partecipano alle varie Biennali Internazionali d'Arte di Venezia, alle Quadriennali Nazionali d' Arte di Roma, a numerose mostre dell'avanguardia internazionale, allestite ad Amburgo, Berlino, Vienna, Parigi, Atene, New York, Buffalo. Tutta la fascia costiera e romagnola è coinvolta nelle loro manifestazioni. Da Macerata ad Ancona, a Fano, a Pesaro, a Rimini, alle altre città le seratefuturiste, le mostre volanti, le declamazioni poetiche, i dibattiti, I'anticonformismo destano controversie, suscitano malumori e consensi, furibonde discussioni. l futuristi umbri, Gerardo Dottori in testa, partecipano ampiamente al fervore vitalistico marchigiano ed anzi rafforzano in più occasioni le loro schiere, dimostrando così l'unità di intenti dei futuristi delle due regioni. È chiaro che nel continuo, duro lavoro, in mezzo alle difficoltà economiche sempre sussistenti, alla fame, quella vera che difficilmente fa ragionare, si attua una diaspora: gli ingegni migliori emigrano a Roma. Tano, Monachesi e Peschi, nella capitale affrontano insieme traversie di ogni genere per rimanere fedeli a loro stessi e per sbarcare il lunario. Le malattie colpiscono duramente i primi due, il terzo fa di tutto per aiutarli. Malgrado le difficoltà di vita, le loro qualità artistiche vengono riconosciute; Tano e Peschi sono, però, costretti a tornare a casa; Monachesi resta. A Macerata c'è molto da fare e i giovani si accostano volentieri al cenacolo artistico di via Crispi. Tulli, appena diciottenne, apprende i rudimenti dell'arte e si fa le ossa a poco a poco. Lo stesso Marinetti di propria tasca gli pagherà la fusione di un'aeroscultura in alluminio. La guerra, tuttavia, travolge tutti. Ne11942, muore a ventinove anni, all'Ospedale Civile di Macerata, Bruno Tano, mentre alla Biennale di Venezia in corso, è allestita una sua personale di disegni. l vari componenti del gruppo sono dispersi sui vari fronti. Arrivano 1'8 settembre 1943, l'invasione tedesca, la resistenza. Nel 1945, il Gruppo Futurista Marchigiano ,<Umberto Boccioni», come l'aveva definito Marinetti, è distrutto. Resta, però, una pagina preziosa e nella storia dell'arte delle Marche e in quella nazionale per l'apporto vitale di energie e di entusiasmi in un momento così delicato, quale quello del declino, in Italia e all.estero, del movimento marinettiano.
ottobre 1979

Elverio Maurizi

Dal piccolo catalogo della Mostra Arte Filatelia “Il Futurismo nelle Marche”, Palazzo Bonaccorsi, Macerata, ottobre 1979
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Presentazione della Mostra personale alla galleria La Virgola di Fabriano, 1979
Le modulazioni quasi tissulari delle sculture di Umberto Peschi dimostrano da un lato la ricerca severa e impegnata, portata avanti con una tenace e lunga elaborazione di uno stesso tema, dall'altro l'irrequietezza della sperimentazione e la continua insoddisfazione per i risultati conseguiti. I due aspetti rispondono al carattere dell'uomo, animato da un profondo amore per il mestiere, per la perfezione e per l'individuazione nel legno –la materia sulla quale opera- di quell'assoluto da tutti cercato e mai trovato e dalla necessità di liberarsi di un universo culturale provinciale allo scopo di rinnovare quel clima di avanguardismo cui ha sempre appartenuto a partire dalle esperienze aeroplastiche degli anni trenta. Il bisogno di giungere al nuovo, all'astrazione simbolica da una realtà, vista più come prodotto di acculturazione che come fatto creativo, e il desiderio di guardare a un'arte tutta mentale, lontana dal clima imitativo del concreto, vissuto direttamente nel secondo dopoguerra, lo sollecitand verso una differente atmosfera, nella quale la prospettiva e i tagli compositivi rispecchiano un irresistibile ritorno ancestrale all'interno della materia. Gli stati d'animo, grazie alla chiarezza espositiva, affi6rano con estrema facilità sulle sculture, dove le compenetrazioni -palesi, soprattutto, nelle opere recenti -avanzano un discorso assai stimolante per il ritmo costruttivo che le pervade.
L 'idea di un divenire di natura meccanicistico si precisa nell'insistito modulare verso l'alto o i lati, nel tentativo di definire l'oggetto nello spazio e subito dopo di liberarlo dalla sensazione di staticità e di corposità tattile mediante una approfondita analisi della struttura e la ricerca all'interno della costruzione solida di una successio- ne di momenti psicologici, ambientati nella forma monumentale per accentuarvi un espressionismo plastico, illuminante sulle amarezze, sulle incomprensioni e sulle varie aspettative, irrisolvibili nell'espansione dialettica del supporto. La luce, assorbita dal legno, è resa mobile soltanto dalle cesure, dalle pause che s'infittiscono e superano i limiti del dialogo materico per giungere a risultati nuovi, a un segreto fermentare, appena attutito dalla om- brata discrezione delle zone interne, dove il vuoto, visto e intuito, trae forza dalla dinamica immaginativa da quella passione del «tarlo», individuata, anni fa, da Luigi Lamber:tini, capace di evi- denziare la vocazione per una sostanziale e istintiva raffinatezza formale. L'equilibrio delle strutture non è mai messo in dubbio, sistematicamente organizzato in un mondo privato, dove, abolita ogni valenza gerarchica, lo spazio promuove consonanze inaspettate e scandisce a intervalli consecutivi periodi temporali sufficienti a sviluppare un grado uguale di intensità melodica. Il richiamare, sia pure alla lontana, la lezione di Brancusi e l'abilità dell'artigiano caratterizza autorevolmente, mediante filtri moderni, una eredità di rigore stilistico assorbita attraverso l'antica amicizia con Enrico Prampolini in modo tale da evitare intrusioni letterarie, facili eversioni sentimentali o evocazioni polemiche. In effetti, Peschi esalta i postulati specifici di una investigazione plastica destinata a produrre eventi diversi da quelli soliti, perche la struttura percettiva delle sue sculture invita a un'indagine serrata sulle cause di quelle cavità spaziali, regolari e insistite che sembrano condurre nel profondo, creand9tra modulo e modulo relazioni date, scandite da una specifica dimensione temporale: dimensionata tra la situazione oggettiva e la misura della coscienza. L 'artista, quindi, tende a identificarsi con architetture plastiche apparentemente inesplicabili ed enigmatiche, le cui pertinenze non aspirano ad assumere significati metafisici, ma risultano ancorate fermamente alla terra. Il contesto organizzato delle volumetrie, dove il leggero pulsare dei piani dispensa sul supporto la manife- stazione di una umanità umile e fertilmente emotiva, riduce l'evento artistico a singolare unità, fino a prospettare suggestivamente quanto di universale è nascosto in esso.
ottobre 1979

Elverio Maurizi  

Dal Catalogo della Mostra personale alla galleria La Virgola di Fabriano – 20 ottobre-10 novembre 1979
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Umberto Peschi: la poesia della scultura
La convinzione che esista una effettiva corrispondenza tra il fare cultura e la posizione etica di chi la produce si è sempre più rafforzata in me con il passare del tempo, soprattutto quando mi è stato possibile seguire nel corso degli anni il percorso compiuto da un qualsiasi buon artista lungo i difficili sentieri dell'arte. Umberto Peschi è uno di questi personaggi, la cui attività si presenta quale convincente esempio operativo. L'artista, in effetti, si è sempre dimostrato capace di vivere la propria avventurosa investigazione con intelligenza, alternando periodi di meditazione ad altri di vigorosa presenza sulla ribalta nazionale e internazionale. Non si può dimenticare, infatti, come per il passato egli sia stato uno dei protagonisti del secondo futurismo e abbia partecipato alle lotte in favore di quell'arte, «degenerata>, per il regime fascista, ma invece vitale nelle sue espressioni, sulla quale si basano le fondamenta medesime della nostra civiltà occidentale. Nel dopoguerra, poi, egli entra a far parte dell'Art Club Internazionale, di cui è presidente Picasso e la cui sezione italiana è diretta da Enrico Prampolini, dimostrando in decine di mostre la saldezza delle sue invenzio,ni plastiche e la sintonia raggiunta con il concerto della cultura europea. La sua sensibilità, anche dopo la felice stagione astratto-costruttivista degli anni cinquanta e sessanta, accentua il proprio carattere riflessivo sulla funzione della scultura nella società odierna e parla con proprietà di linguaggio di un universo intellettuale accresciutosi nell'ambito di un back ground continentale che ha tracciato da Brancusi a Pevsner, da Naum Gabo a Lipschitz, da Boccioni ad Archipenko, ai giorni nostri un itinerario di intelligenza, di preparazione professionale e di duro lavoro. Il suo segreto iavorare alla ricostruzione dell'universo (Fortunato Depero era suo amico e, perciò, le teorie da questi diffuse con il manifesto gli erano note prima ancora della pubblicazione del documento) attraverso la diuturna applicazione e la razionale analisi del fare, nonche l'insegnamento, inteso come missione, diveniva per lui fattore determinante allo scopo di chiarire la opportunità di inventare giorno per giorno la. vita La convinzione che esista una effettiva corrispondenza tra il fare cultura e la posizione etica di chi la produce si è sempre più rafforzata in me con il passare del tempo, soprattutto quando mi è stato possibile seguire nel corso degli anni il percorso compiuto da un qualsiasi buon artista lungo i difficili sentieri dell'arte. Umberto Peschi è uno di questi personaggi, la cui attività si presenta quale convincente esempio operativo. L'artista, in effetti, si è sempre dimostrato capace di vivere la propria avventurosa investigazione con intelligenza, alternando periodi di meditazione ad altri di vigorosa presenza sulla ribalta nazionale e internazionale. Non si può dimenticare, infatti, come per il passato egli sia stato uno dei protagonisti del secondo futurismo e abbia partecipato alle lotte in favore di quell'arte, «degenerata>, per il regime fascista, ma invece vitale nelle sue espressioni, sulla quale si basano le fondamenta medesime della nostra civiltà occidentale. Nel dopoguerra, poi, egli entra a far parte dell'Art Club Internazionale, di cui è presidente Picasso e la cui sezione italiana è diretta da Enrico Prampolini, dimostrando in decine di mostre la saldezza delle sue invenzio,ni plastiche e la sintonia raggiunta con il concerto della cultura europea. La sua sensibilità, anche dopo la felice stagione astratto-costruttivista degli anni cinquanta e sessanta, accentua il proprio carattere riflessivo sulla funzione della scultura nella società odierna e parla con proprietà di linguaggio di un universo intellettuale accresciutosi nell'ambito di un back ground continentale che ha tracciato da Brancusi a Pevsner, da Naum Gabo a Lipschitz, da Boccioni ad Archipenko, ai giorni nostri un itinerario di intelligenza, di preparazione professionale e di duro lavoro. Il suo segreto iavorare alla ricostruzione dell'universo (Fortunato Depero era suo amico e, perciò, le teorie da questi diffuse con il manifesto gli erano note prima ancora della pubblicazione del documento) attraverso la diuturna applicazione e la razionale analisi del fare, nonche l'insegnamento, inteso come missione, diveniva per lui fattore determinante allo scopo di chiarire la opportunità di inventare giorno per giorno la vita stessa. La necessità di formulare equivalenze, relative al senso della realtà del tempo, e il retaggio marinettiano dell'arte-vita lo spingono, quindi, ad approfondire I'astrattismo geometrico attraverso l'esame di un modulo che gli consentirà di affrontare, al di là di ogni accezione concretista, con un linguaggio aderente alle situazioni le istanze a lui contemporanee, disgregatrici della consistenza materica dell'oggetto allo scopo di conoscerne l'essenza. La sua preferenza per un lavoro solitario, quel suo scavare dentro il legno per trovare una soluzione possibile ai problemi plastici e a quelli urgenti nella coscienza lo sollecitano, perciò, ad affrontare la questione ontologica e quella esistenziale, risolta in chiave ottimistica. La severa correlazione, inoltre, tra invenzione ed evenienza, lo porta a una significativa coerenza esplorativa, sufficiente a evidenziare nella ostinata ricerca una sostanziale concretezza volumetrica e il contemporaneo dilatarsi nel tempo e nello spazio di valenze estetiche e contenutistiche quanto mai attuali. La chiarezza di intenti che sostiene il suo operare lo pone, dunque, sullo stesso pianodi molti dei personaggi europei, dominanti la scena dell'arte continentale, che nella semplicità dell'impianto riescono a dare purezza architettonica alle proprie costruzioni, senza tralasciare l'illustrazione di stati d'animo e di aspettative psicologiche, puntualizzanti lo stesso momento storico della ricerca. L'esposizione, dedicata dall'Amministrazione comunale d] Gjbellina allo scultore, allinea composizioni plastiche e disegni dell'ultimo quinquennio, chiarificatori dell'affascinante viaggio compiuto nel mondo dell'immaginazione e puntualizzanti una straordinaria fecondità creativa, adatta a esaltare il ruolo specificamente poetico assunto dall'autore nell'ambito della sua generazione. l dedali quotidiani, evidenziati dall'incisione paziente che s'immerge nella profondità del supporto, illustrano in termini nuovi il concetto di spazialità e dichiarano in termini di riconoscibilità i debiti verso le lezioni cubista e De Stijl, avanzando nella fluidità formale, indifferentemente capace di usare la luce, il colore naturale del legno, lo stesso spazio come fattori di equilibrio intellettuale, la presenza di verità espressive, ricche di contenuti. Il discorso, perciò, si rende più ampio, più insinuante delle apparenze linguistiche, perche non solo sembra maggiormente ricettivo delle suggestioni materiche e delle vibrazioni cromatiche, ma soprattutto perche propone un universo intellettuale dove, ancora una volta, emerge il concetto della geometria intesa come sentimento. Le risonanze, le pause, le caute illuminazioni, come cadenze musicali, proiettano intorno a loro un ordine chiaro, un ritmo di architetture, spesso serene, ma assai spesso anche angoscianti attraverso le quali la memoria, più dell'occhio stesso, visualizza apparizioni reali, strutture, talvolta sfuggenti, di sostegno, però, all'oggetto con tutta la loro sottigliezza dialettica, applicata alle variazioni sul tema. Le esperienze antecedenti, limpide, filtrate e sedimentate nella coscienza, sommessamente promettono la loro disponibilità, che attraverso la decisa modulazione, adotta, per il gioco chiaroscurale, suggerito dagli oggetti, una funzione eidetica. Il desiderio dell'artista di formulare e di proporre una propria realtà immaginativa, contrapposta all'amara concretezza del quotidiano, scopre la sua realtà interiore, fatta di ingenuità e di spontaneità, di espansione affettiva e di calda simpatia verso le vittime della società storica attuale, atomizzata e refrattaria a tutte le innovazioni che non siano il prodotto della tecnica, creando così le premesse per quell'incomunicabilità e quella alienazione che affliggono l'umanità. In questi tempi poveri di risultati spirituali, quindi, dove appena oggi si avverte la necessità di vivere ancora l'arte come fatto manuale e realizzativo, in cui la perdita del centro sembra tuttora essenziale elemento d'individuazione, il lavoro di Umberto Peschi rappresenta un civile atto di amore per l'arte, per il futuro della cultura e per quello dell'uomo: tutto ciò mi sembra illuminante.
novembre 1979

Elverio Maurizi

Dal catalogo “Umberto Peschi: la poesia della scultura” della mostra a Gibellina – 16 novembre 1980
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Quattro generazioni di artisti maceratesi
La ricerca astratta nelle Marche, dalle esperienze di Ivo Pannaggi negli anni venti a quelle di Osvaldo Licini negli anni trenta, a quelle che si sono succedute e prosperano oggi nel territorio, è stata un fertile campo d'esplorazione, capace di suscitare un'attività creativa così ampia e vivace da testimoniare la felicità di tale filone. Umberto Peschi, Wladimiro Tulli, Nino Ricci e A!fonso Cacchiarelli, in tale ambito speculativo, rappresentano quattro generazioni di artisti che hanno affrontato in altrettanti modi diversi l'analisi di una tendenza, mossasi dall'area costruttivista fino a giungere all'oggi. L'esposizione di Muggia va intesa, dunque, come ulteriore occasione di confronto per misurare la dialettica delle differenti verità morfologiche, proposte secondo i mezzi pittorici o plastici più congeniali e quale possibilità di diretta comunicazione, organizzata secondo valenze rispondenti alle personali esigenze immaginative. Una interpretazione analitica del processo creativo avanzato dai quattro artisti mi sembra doverosa soprattutto per evidenziare la sostanza di quella volontà indagatrice sul mondo delle forme grazie alla quale sono rese esplicite le particolari mitografie, gli equilibri, le motivazioni di un'operazione culturale sufficiente a innescare un processo emotivamente provocatorio e dotato di un'ambiguità, indispensabile per trasformare un semplice manufatto in opera d'arte. Umberto Peschi e Wladimiro Tulli, pu! con le debite differenze di età, hanno ambedue alle spalle una lunga milizia artistica che parte dell'aeropittura e dall'aeroplastica futuristaper giungere nell'immediato dopoguerra all'assunzione di moduli astratti, vissuti, fino ad oggi, con spirito di piena adesione ai principi che li sorreggono. Lo sviluppo vagamente costruttivista delle sculture del primo e quello liberamente fantastico delle pitture dell'altro sembrano facce di una medesima medaglia incisa su un supporto dove la presenza di Enrico Prampollini appare come il naturale elemento di coesione del loro operare. Diversi per temperamento sono gli sviluppi al limite tra il neoconcretismo e la "nuova pittura» di Nino Ricci, il quale negli instabili equilibri delle proprie costruzioni geometriche lascia al supporto lo spazio del sentimento. Alfonso Cacchiarelli, invece, nell'incidere nei mastici una trama sottile e coinvolgente riporta all'attenzione del pubblico una situazione intimistica assunta come base di un discorso sempre più rivolto al fatto emotivo che a quello razionale. Le opere dei quattro espositori, insomma, dimostrano la possibilità di formulare equivalenze e soprattutto segni che per un processo naturale di osmosi traducono letteralmente il tempo in cui si vive, attraverso la visione tutta mentale di una forma da riguardare quasi come scrittura di un diario proiettato nella quotidianità.

Elverio Maurizi


Dal pieghevole della mostra  al Centro Internazionale d’Arte di Muggia (con Cacchiarelli, Ricci e Tulli) dal 5 al 25 luglio 1980




 
 
 
 
 
 
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