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Ricordo di Umberto Peschi
Ho conosciuto Umberto Peschi, l'estate scorsa, a Portonovo dove, per i suoi straordinari meriti artistici gli è stata assegnata la Ginestra d'Oro del Conero. Ed è stato proprio in questa occasione che abbiamo trascorso alcuni giorni insieme.
Devo dire che è stato per me un grande onore e una grande gioia. Un onore perché ho potuto conoscere "da vicino" uno dei più grandi artisti marchigiani di questo secolo. Una gioia perché l'uomo era di una umiltà pari alla sua capacità di rendere tattile il sogno e la lettura della nostra coscienza. Lo spirito che lo animava era incredibilmente fanciullesco. Nel senso che il mondo riusciva ad incuriosirlo provocandogli lo stesso entusiasmo che anima un bambino di fronte ad un giocattolo nuovo. La Ginestra d'Oro del Conero, con quell'atmosfera intrigante, del tutto marchigiana, dove un fatto culturalmente mondano viene vissuto con straordinaria semplicità , rinnova, anno dopo anno, lo spirito che sin dal lontano 1966, Giovanni Maria Farroni e Bruno Fanesi, sostenuti dall'entusiastica ospitalità di Elia Dubbini Fiorini, proprietaria del Hotel Emilia, ha fatto sì che Portonovo diventasse un autentico crocevia dell'arte contemporanea degli ultimi trent'anni, dove vecchi e nuovi amici si incontrano per rendere testimonianza della loro vita, sotto il profilo artistico e, soprattutto, sotto il profilo umano.
Chi ha avuto occasione di vivere certi straordinari momenti può , forse, cogliere con più facilità quanto sia stata importante la presenza di Peschi all'ultima edizione della Ginestra e come egli sia riuscito ad elevarne il valore di testimonianza umana in maniera del tutto naturale.
Il ricordo di Umberto, in me, resterà sempre vivo. Sin dall'estate scorsa non sono più riuscito a separarmi dall'immagine di quel sorriso teneramente dolce ed ironico che segnava, puntualmente, ogni sua frase. Come quando il cameriere gli chiese se mangiava pesce e lui gli rispose di no aggiungendo: "E sai perché ? Quando ero ragazzino, la mia famiglia non poteva comprarmi del pesce. Costava troppo. Era un lusso che non potevamo permetterci. E io, in tutti questi anni, non ho voluto cambiare le mie abitudini...L'unica eccezione sono "i sardoni". Sai quello è un pesce povero...".
Questo aneddoto che potrebbe sembrare una barzelletta rende, invece, in modo assolutamente efficace la comprensione di quella che è stata la filosofia di vita di Umberto Peschi. Un'esistenza che non si è mai piegata ai compromessi e alle vuote parole di tutti coloro che nel mondo dell'arte in particolare, accendono la speranza con false promesse calpestando anche i sentimenti.
Ecco perché quel "Tarlo" è oggi più che mai una provocazione ed un monito a guardare dentro di noi per cercare di capire le ragioni della nostra esistenza in rapporto agli altri e al mondo esterno che ci circonda. Se sapremo farlo, se cioè faremo adegua¬to tesoro del suo insegnamento, riusciremo a riflettere sulla nostra condizione esistenziale mantenendo, nel tempo, intatto il gusto per la vita. E come per Umberto, le amarezze, le incompren¬sioni, i dispiaceri di una vita non sempre facile né felice nulla potranno di fronte al suo sorriso curioso ed adolescenziale che rimarrà un ricordo sempre vivo di cui faremo tesoro.
Roberto Farroni
Ancona, 21 gennaio 1993
da: Quaderni di Piccole Città, n. 3, marzo 1993, pg. 10
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