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Una vita per l'arte
"Certo, l'arte è un sacerdozio, una cosa troppo seria che nel mio caso si è presa tutta la mia vita", dichiara Umberto Peschi, intervistato in occasione del suo ottantesimo compleanno; in effetti, se c'è una costante, che emerge con forza nella vicenda artistica dello scultore maceratese, è proprio la stretta corrispondenza dell'arte con la vita, del profilo dell'artista che combacia perfettamente con quello dell'uomo, tanto è esclusiva e completa la dedizione all'arte, che coltiva con grande umiltà ma anche determinazione come un pungolo, una mania, una dote da accarezzare e proteggere con lo stesso entusiasmo nelle diverse stagioni della sua vita. Una costante, da cui nasce, si alimenta e matura con vigore la sua poetica, che trova la ragion d'essere nel talento istintivo e innato per la materia, vissuta in contatto intimo e in un rapporto così fecondo da attraversare tutti i gradi dell'"innamoramento", dall'approccio visivo di superficie, alla palpazione tattile, fino alla congiunzione e al possesso, affidati alle amorevoli cure di una mano sapiente e intrigante con la quale misura, inventa e dà corpo alle forme nello spazio. Cominciata negli anni trenta e sviluppatasi per più di un sessantennio, l'avventura peschiana può essere scandita grossomodo in tre periodi: il primo, quello giovanile futurista dell'aeroplastica, che si conclude con la fine della seconda guerra mondiale, il secondo postbellico, caratterizzato dal ritorno al naturalismo declinato in linea di massima secon¬do stilemi arcaizzanti e martiniani, e il terzo, quello della maturità stilistica che, a partire dalla prima metà degli anni cinquanta, si modula definitivamente sul registro dell'astrazione. La cifra astratta di Peschi trova la sua intenzionalità espressiva nella "poetica del tarlo", che sperimenta per circa un trentennio nelle articolazioni
più varie, offrendo una vastissima serie di lavori ascrivibili a diverse fasi creative, pur nell'alveo del medesimo indirizzo di ricerca, che vanno dal tarlo "sedotto" dalle avances ortogonali della geometria, al tarlo "ludico" e giocoso, suggerisce Crispolti, che accompagna come una felice distrazione, un divertissement, l'ultima fase della sua esistenza. Fin dagli esordi, anche se improntati a un naturalismo scolastico e di maniera, mette alla prova la straordinaria abilità manuale, che affida soprattutto alla tecnica dell'intaglio, acquisita negli anni della formazione scolastica presso la Regia Scuola Professionale di Tirocinio da cui si diploma nel 1927, ma affinata anche in seguito, frequentando sia mobilifici locali, sia studi di artisti attivi nella sua città, come quello di Giuseppe De Angelis, esperienze che gli fanno prediligere in modo particolare il legno perché più rispondente alle proprie esigenze espressive: attraverso le sue tessiture, le porosità, le asperità nodose, può rintracciare la temperatura emotiva della dynamis della vita, inscritta nella sequenza ritmica delle sue fibre. Da subito, dichiara più tardi, sapeva "come sarebbe andata a finire", è immediatamente avvertito di come la sua mano, la sua testa, tutto il suo corpo costituiscano un potente dispositivo ricevente e trasmittente delle forze vitali della natura, alimentate da quella stessa energia che i futuristi, meglio di altri movimenti d'avanguardia, hanno con forza assunto come la ragione fondante della loro arte, peraltro ancora viva nel secondo futurismo, dislocato negli anni trenta in alcuni centri vitali della penisola, di cui la città di Macerata rappresenta sicuramente uno degli avamposti più strategici. Una consapevolezza che si accresce con l'adesione al movimento futurista, maturata attraverso l'amicizia con Bruno Tano, animatore, nel 1932, del Gruppo Futurista Maceratese, poi denominato Gruppo Boccioni, a cui Peschi si unisce solo dopo il ritorno dalla guerra in Etiopia, intrapresa dalla politica coloniale del regime fascista nel Corno d'Africa, dove ha vestito la divisa del legionario nel biennio 1935-1936 affidandone la memoria al suo Diario di un legionario.
Vi aderisce con l'entusiasmo giovanile e senza riserve di chi vede nell'arte lo strumento più idoneo per veicolare un'idea di rinnovamento sociale, di cambiamento, sulla scorta di valori forti quali la solidarietà e l'amicizia, profondamente condivisi, durante il soggiorno romano, con Bruno Tano e Sante Monachesi, con cui, fin dai primi mesi del 1937, divide anche l'abitazione-studio di via delle Colonnette, sbarcando il quotidiano all'insegna dell'indigenza al limite della miseria, che tuttavia rinsalda il legame con gli amici, in particolare con Bruno Tano, del quale ha sempre conservato un affettuoso struggente ricordo. Ne ricordava la incisiva personalità, il magistero esercitato presso gli amici maceratesi, lui che studiava a Roma dove frequentava il Blocco dei Futursimultaneisti, la Casa d'Arte Bragaglia e i numerosi artisti di punta che ruotavano attorno a essa; ogni volta con grande emozione, ne raccontava la straordinaria generosità, la solida cultura, il candore signorile del vero disinteresse, la penosa devastante malattia e, ad appena ventinove anni, la morte da martire testimone dell'"amicizia", "un vero grande artista Bruno Tano...", un valore assoluto che egli erediterà e condividerà, come punto di riferimento etico oltre che estetico, con Wladimiro Tulli.
Dell'esperienza del periodo, Peschi conserva nel suo lavoro la forza propulsiva dello "slancio vitale" di matrice bergsoniana, attinto a piene mani dall'estetica futurista della prima ora e trasmesso, come indiscusso fondamento ontologico, ai futu¬risti della seconda generazione, tra cui il nostro si colloca come singolare interprete dell'aeroscultura per l'energia creatrice che profonde nel legno, immediatamente riscontrabile nei primi lavori, da Il duce, a F.T. Marinetti, ad Ali, bassorilievi intagliati in noce, esposti durante il soggiorno romano alla Casa d'Arte Bragaglia.
Il Peschi futurista è forse quello più conosciuto, grazie agli studi di Anna Caterina Toni ed Elverio Maurizi, e la sua fortuna critica, sviluppatasi attorno alle grandi manifestazioni artistiche sindacali e
alle Quadriennali romane, a cui partecipa ininterrottamente a tutte le edizioni dal 1939 al 1956, si rafforza con l'eco mediatica della XXII e della XXIII Biennale di Venezia, rispettivamente del 1940 e 1942, dove Marinetti presenta al gran com¬pleto la squadra dei futuristi, in cui svettano i notevoli lavori di Peschi, che nella prima edizione propone Aeroscultura, Potenza di forze simultanee, Aeroritratto d'aviatore, e, nella seconda, Il paracadutista e Oasi di pace.
Quanto all'opera Aeroritratto d'aviatore, un superbo legno di ciliegio a tutto tondo, conservato nella pinacoteca civica di Macerata, gode di particolare notorietà anche per la promozione cinematografica dovuta allo scenografo maceratese Dante Ferretti, che una trentina d'anni fa l'ha piazzata sotto i riflettori del set allestito per il film di Pasolini, Salò, scegliendola come l'immagine simbolo, scenograficamente più pregna di significato, di tutti gli umori del clima culturale fascista, quella congiuntura epocale che ha segnato tanto profondamente la storia d'Italia, quanto ha sensibilmente inciso nella giovinezza di Umberto. La svolta del dopoguerra è un avvenimento radicale nella poetica di Peschi, seguito al bilancio delle profonde "segnature" nelle sue carni lasciate dalla disillusione per il frantumarsi dell'ideologia nel disastro civile e morale della guerra, dalla frustrazione del sogno mancato, dal tradimento della speranza in cui molti giovani artisti come lui hanno confidato, peraltro rese ancora più doloranti dal forte sentimento di amarezza e di disorientamento per la perdita del punto di riferi¬mento con la morte dell'amico Tano. Il periodo postbellico si apre, dunque, con una sorta di malinconica depressione che lo induce a un'introversione, all'azzeramento di ogni certezza perseguita soprattutto attraverso lo smontaggio del linguaggio plastico, per ricominciare umilmente daccapo, ripartire dai primi lessemi visivi, dal primitivismo martiniano e arcaizzante, per ritornare alla figurazione e con essa ai temi fedeli alla riconoscibilità figurativa, in particolare alla figura antropomorfa, che declina in tutta la sua complessità psicologica, sia nella variante del tutto tondo che nel bassorilievo, affidandosi alle proprie solide "radici culturali", al virtuosismo tecnico del primo impegno verista.
Nasce la serie di Ritratti, densa di afflato lirico nella stesura dei tratti classicamente resi da una plastica levigata e polita che, volutamente, in alcune tipizzazioni involve in uno stile arcaizzante, una dialettica visiva di felici alternanze che investe anche la serie di piccole sculture a tutto tondo prodotte tra il 1946 e il 1947, alcune armoniosamente definite nel modellato come Dolore, Figura maschile, Nudo di donna, e altre, per la verità la maggior parte dei bassorilievi, esemplate invece su una maniera primitiva, quali Pastorella, Atleta seduto, Il pescatore, Ragazza seduta, Bagnanti, Maternità eccetera.
Sulla scorta dell'alto magistero di Arturo Martini, l'artista maceratese articola il linguaggio della scultura in forma popolare, nella sua espressione quotidiana, per evidenziare la distanza, per certi versi incommensurabile, dalla statuaria classica destinata a celebrare il valore e l'eccellenza, ma che, a fronte della disfatta dell'umanità sancita dal conflitto mondiale, è divenuta ormai "lingua morta" e dunque assolutamente non idonea a restituire le urgenze esistenziali della miseria umana. Nella vicenda artistica peschiana la seconda stagione corrisponde perciò a un ricominciamento rispet¬to all'esperienza precedente, caduta tra le macerie della guerra, ma tesaurizzata come fondo di compe¬tenze prezioso cui attingere nell'attesa di poter imboccare decisamente la via di una poetica autonoma, di tracciare una propria via alla scultura, ed è per questo che si esercita con grande fervore in una pratica di eclettismo a tutto campo, prestando orecchio ai nuovi linguaggi emergenti, cominciando a cimentarsi con i codici dell'astrazione. Esemplare a riguardo è il passaggio verso la decostruzione del naturalismo attraverso la esemplificazione delle volumetrie con opere come Maternità, Pagliaccio, Suora, Figura femminile, Ballo popolare, Maschera atomica, prodotte nell'ultimo scorcio degli anni quaranta, dove il recupero sintetico dei volumi di marca futurista, che ha sicuri punti di riferimento sia in Prampolini che in Depero, si coniuga con la scansione delle masse cubista e costruttivista di area sovietica mutuate da Alexsandr Archipenko e Ossip Zadkine, grazie anche alla straordinaria mediazione del concittadino Ivo Pannaggi.
Ma lo intriga in maniera particolare la costruzione sintattica dello spazio vuoto al pari del pieno, pro¬posta da Henry Moore, impostosi sulla scena italiana nella Biennale di Venezia del 1948, e immediatamente assimilata e restituita da Peschi con
l'articolazione delle forme "in vuoto" di Protezio¬ne, Amanti, Connubio, Vittoria alata, Il cavallino rampante eccetera.
Pienamente avvertito della radicalità del problema che l'arte si pone circa la ridefinizione del rapporto con la realtà, ormai non più inscritto nel paradigma mimetico e illusivo, lo affronta avviandosi sulla strada della formalizzazione linguistica, verso forme aniconiche con cui, oltre a smorzare ogni residuo retorico, fa una scelta di campo nel nuovo scenario, che vede in barricata gruppi che si fanno e si disfano l'un contro l'altro armati, schierati su opposti fronti, pronti a rivendicare il primato del nuovo corso dell'arte e, in particolare, a tracciare le coordinate di riferimento dei nuovi codici della scultura.
Ed è allora che imprime una forte accelerazione alla sua ricerca cui fa corrispondere un'intensissima attività espositiva, che lo vede coinvolto in molteplici iniziative, sia a Macerata, alle manifestazioni promosse dalla Brigata Amici dell'Arte, che nell'immediato dopoguerra ha in Peschi e Tulli gli efficientissimi infaticabili animatori, sia ampliando il suo raggio d'azione fuori dai confini territoriali proiettandosi verso Roma. Nella capitale partecipa ai grandi eventi, come la VI Quadriennale d'Arte del 1951, dove propone una pregevolissima opera in legno bianco: Suonatore di fisarmonica, ma soprattutto a Roma ha un referen¬te sicuro e di spicco: Enrico Prampolini, che lo stima profondamente, gli riconosce un talento non comune, lo consiglia e lo sprona a trovare una pro¬pria cifra stilistica, lo aiuta a sprovincializzarsi introducendolo nella cerchia romana dell'Art Club. Nei primi anni cinquanta, Peschi ha l'opportunità di operare all'interno del laboratorio più avanzato, nel panorama nazionale del periodo, nella ricerca dei linguaggi astratti, i suoi interlocutori all'Art Club sono infatti Dorazio, Capogrossi, Mastroianni eccetera, ed è proprio la prova di maturità stilistica raggiunta con Composizione astratta, per la quale Prampolini esprime un giudizio estremamente lusinghiero "bene, bravo, è l'opera più organica che hai fatto", che gli vale la partecipazione nel 1952 alla "VI Mostra annuale dell'Art Club" alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, ma anche il viatico per edizioni successive. Gli anni cinquanta e sessanta contrassegnano indubitabilmente il periodo più ricco di creatività, confortata peraltro da grandi aspettative, espresse dapprima con opere di transizione, caratterizzate da motivi di astrazione formale congiunti a temi ancora collegati a una riconoscibilità figurativa come Palla a volo n. 1 e Palla a volo n. 2, Vele e ancore, poi con lavori come Articolazione, Forme incrociate, Ritmi ed elementi di mare, Strutture marine, dove temi e motivi trovano un definitivo raccordo sul medesimo registro astratto, i cui esiti più maturi vengono presentati nel 1954 a Macerata alla "Mostra Nazionale d'arte astratta", organizzata dall'Art Club in collaborazione con la Brigata Amici dell'Arte.
Altro fatto significativo è che, a partire dall'ottobre 1957, intraprende l'attività di insegnamento presso l'Istituto d'Arte di Macerata, in qualità di docente di disegno dei metalli, un magistero ventennale che, oltre a segnare tutta una generazione di studenti alla fascinazione della pratica artistica, inciderà sensibilmente anche nel suo lavoro, perché è proprio a par¬tire da questi anni che dà particolare impulso alla grafica, con la quale correda la ricerca scultorea; la quantità di disegni prodotta dall'artista testimonia della valenza pedagogica conferita a questo strumento, idoneo a visualizzare, anticipare e accompagnare le varie fasi di progettazione dell'opera. Inoltre, dalla metà degli anni cinquanta ha inizio un'intensa collaborazione con la Galleria Numero di Fiamma Vigo, un sodalizio anch'esso ventennale, che darà un forte impulso alla sua attività sia produttiva, sia espositiva, perché, al seguito di Numero, che, oltre alla sede di Firenze, ha aperto succursali a Roma, Venezia, Milano, parteciperà a numerosissime collettive e sue opere saranno presenti nelle gallerie più prestigiose di importanti città italiane ed europee, mentre il contatto con artisti di tendenza prevalentemente astratta che ruotano attorno alla galleria rafforzeranno le ragioni della sua scelta.
In questa favorevole congiuntura, si apre la terza stagione nella vicenda artistica di Umberto Peschi, improntata dalla poetica del tarlo, volta a marcare con una cifra personalissima la via peschiana all'astrazione, tanto da farne un unicum nell'orizzonte artistico contemporaneo, una poetica che appare per la prima volta in opere come Ricordi degli avi, esposta nel maggio del 1957 a Venezia, alla Galleria del Cavallino, nel luglio successivo ad Ancona, al Premio Marche, e ad agosto a Firenze alla Galleria Numero, o come Ricordi antichi n. 1 e n. 2, I saluti, tre sculture in bronzo presentate nell'autunno dello stesso anno al premio internazionale di scultura Città di Carrara.
L'articolazione modulare che ha scandito il passag¬gio all'astrazione, ora viene arricchita da un'indagine sulla materia lignea e, perfettamente in linea con le tendenze aniconiche e informali, analizzata nelle sue tessiture, scavata, morsa e penetrata fin nelle strutture profonde, dunque smembrata e svuotata dell'inerzia, alleggerita dalla pesantezza, ricondotta alla radice energetica profonda, quella stessa, mai spenta e ancora viva, che aveva caratterizzato gli anni giovanili segnati dall'estetica futurista. Per più di trent'anni Peschi declina questa sua cifra stilistica sul filo di un equilibrio bilanciato tra esprit de geometrie ed esprit de finesse, senza particolari derive, ma con lunghe incursioni nella costruzione tettonica modulare che si concede senza riserve alla geometria, una tendenza emergente in particolar modo nei primi anni sessanta, a partire dalla personale di Vienna del 1963, e che perdura per tutti i settanta, quando, in sintonia con le ricerche d'arte programmata e cinetica, detta la misura dello spazio con moduli verticali e orizzontali, ripetuti con sequenza ritmica in stele totemiche, purissime invenzioni formali che l'immaginazione plastica articola, disarticola e moltiplica nelle infinite varianti del Tarlo. Con altrettante concessioni, si muove disinvoltamente anche sul versante della composizione più empatica, aperta a suggestioni decorative di "nuclei sorgivi", che oppongono al buco scavato dal tarlo una superfetazione uguale e contraria di materia, una tendenza meno evidente e inizialmente sopita, che tuttavia riaggalla con una certa frequenza come una sorta di libera inflessione riluttante agli irrigidimenti nella struttura razionale dell'impianto geometrico e affermatasi in modo deciso a partire dagli anni ottanta, con costruzioni aperte di moduli assemblati finemente lavorati, squadernati e in libera uscita, che, dalla disintegrazione del blocco scultoreo, trovano una loro ricomposizione nell'ordine concettuale della installazione. In realtà, la sostanziale refrattarietà di Peschi a imboccare la via univoca dell'astrazione geometrica è scritta nella sua indole artistica che ha maturato i frutti del proprio talento nell'incubatoio dell'aeropittura futurista, ricca di fermenti emozionali come quella impartitagli da Tano, ma anche sotto i raggi lunari delle Amalassunte o nelle atmosfere, ora combuste ora glaciali, degli Angeli ribelli,
con cui Licini, che Peschi ha frequentato assiduamente fin dal definitivo rientro nella nativa Monte Vidon Corrado, ha consegnato una volta per tutte la sua pittura al destino di essere "un'arte irrazionale, con predominio di fantasia e di immaginazione, cioè di poesia".
"Scultura come poesia" è il titolo della grande antologica, allestita nel 1979 a Macerata nella chiesa di San Paolo, con il quale Elverio Maurizi, il curatore della mostra, ha voluto esemplificare l'opera di Umberto Peschi, cogliendovi una valenza immaginativa tanto forte da poter essere assimilata alla poesia, la poiesis aristotelica connessa al fare e al produrre, che impronta la materia fino a farne potente rivelazione di un guizzo di pensiero, di una trama di sogni, di una scrittura nello spazio, di un gesto di amore che rinnova ogni volta il mistero della creazione.
Il gesto di Peschi, dunque, deborda dai limiti dell'astrazione geometrica e si espande, sia investendo altri materiali, come nel caso delle calibratissime Piccole sculture metalliche, sia dilatandosi nel grande formato, con una rilettura del suo immaginario modulare in chiave monumentale, con una scultura-ambiente che del ritmo modulare dimentica ogni pulsione funzionalista, ma conserva la chiave del gioco, la sfida del piacere, la spontaneità del gusto, quelle componenti del divertissement con cui corrobora l'anima nell'ultima stagione della sua vita.
In realtà, con la poetica del tarlo, e al di là delle sue periodiche inflessioni, Peschi ha voluto superare la logica del naturalismo proponendo un riposizionamento dei termini con i quali decidere l'esperienza plastico-spaziale, che risale all'origine della scultura, al processo genetico di fare spazio, al cuore della creazione, lasciando il gesto della mano in balia delle forze, un gesto cieco, come il tarlo che agisce secondo un sentire prelogico e precategoriale. Scardinato il rapporto soggetto-oggetto, dell'Ego non rimane che una traccia residuale, asfittica, allo stato larvale, il tarlo, appunto, che fa corpo unico con la materia perché, non avendo la forza di oggettivarla, si limita a metabolizzarla all'interno di un processo naturale e originario nel quale, tra il tarlo che si nutre della materia e la materia che si annulla nel tarlo, nasce la contezza di un unico destino.
Così Peschi ha rintracciato nel fare artistico, che si avvale della sapienza manuale della tecnica artigianale, la più alta espressione dell'immaginazione produttrice, quella che dà la possibilità di "abitare le cose", perforandone la pelle in un continuo esercizio fenomenologico assimilabile al lavoro tenace del tarlo che scava cunicoli e gallerie, tracciando inconsapevolmente mappe topografiche, percorsi apparentemente casuali ma che in realtà trascrivono e descrivono con una "metafora viva" l'esprienza dell'esistenza e il mondo della vita.
Paola Ballesi
Da UMBERTO PESCHI, OPERE 1930-1992, Catalogo della Mostra tenuta a Macerata, chiesa di San Paolo, dal 17 luglio al 12 ottobre 2004, a cura di Paola Ballesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano, 2004
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Umberto Peschi: il secondo dopoguerra
Aeroritratto d'aviatore, una scultura a tutto tondo in legno di ciliegio attualmente custodita nella raccolta stabile della Pinacoteca civica di Macerata, realizzata da Umberto Peschi tra il 1939-' 40 ed esposta nel 42 alla XII Biennale di Venezia, che dopo più di un trentennio, Dante Ferretti, il grande scenografo di origine maceratese insignito più volte del premio Oscar, metterà sotto la luce dei riflettori utilizzandola per I'allestimento di alcune scene del film "Salò"(1975) di Pierpaolo Pasolini, risulta un'opera emblematica per la messa a fuoco della poetica di questo scultore nel periodo in questione. Ma, oltre a esservi sintetizzato in modo esemplare un significativo spaccato dell' attività artistica corrispondente alla stagione che appunto va dagli esordi al secondo dopoguerra, è facile rintracciarvi anche i due caratteri che hanno accompagnato come una costante il suo lavoro: da una parte, la matrice stilistica dominante di ascendenza tardo-futurista, per intendersi il secondo futurismo degli anni Trenta nella declinazione dell'aeropittura, che peraltro aveva trovato nell' alveo maceratese un avamposto vivacissimo, congiunta, dall' altra, al talento per la materia vissuta in un rapporto intimo, che percorre tutti i gradi dell"'innamoramento", dall'approccio visivo di superficie alla palpazione tattile, fino alla congiunzione affidata alle sollecite cure di una straordinaria abilità manuale e tecnica, con cui articola in maniera estremamente fluida e sapiente il modellato. Abilità che aveva affinato durante il suo praticantato presso i laboratori di alcuni artisti locali e che, quand'anche applicatasi a diversi materiali, privilegia in maniera del tutto particolare il legno, considerato dal nostro tra le materie più duttili e più consone ad accogliere la forma, il legno con le sue tessiture e la sua porosità, ricco di asperità nodose ma anche di calore, il legno che, scrive l'avvocato Binni grande amico e per anni 00scienza critica dell'artista fino alla sua scomparsa nel '92, "si scolpisce e non si plasma, al legno come alla pietra si toglie il di più e una volta tolto quello che non serve resta I'immagine"1. Del resto la Regia Scuola Professionale Maschile di Tirocinio di Macerata, dove si era formato, gli aveva rilasciato nel 1927 il diploma di intagliatore in legno, specializzazione che non smentì mai nel corso della sua intensa e copiosa attività scultorea e che gli suggerì, assecondandola, la svolta decisiva della fine degli anni Cinquanta, quando attraverso la "poetica del tarlo" impresse una accelerazione particolare alla sua ricerca appropriandosi con declinazioni del tutto singolari dei processi di astrazione che sostanziavano la cultura artistica nazionale e internazionale dell'epoca. Come in un prezioso cammeo, Elverio Maurizi, mentore ed estimatore di Umberto Peschi, ne ha icasticamente stagliato la vicenda biografica: "In un dimesso caseggiato su due piani nella città vecchia di Macerata, dinanzi al monumento a Lauro Rossi, nella piazzetta omonima, nasceva il 21uglio 1912 da genitori di modeste condizioni Umberto Peschi, un artista ricco di modestia e di entusiasmo, di tenace laboriosità, di fervida fantasia, di amore profondo per la propria terra e di una straordinaria generosità creativa. Grazie a queste sue qualità sarà capace di portare avanti un discorso di sostanziale interesse per le generazioni successive, non solo per le componenti culturali di cui risulterà , permeata la sua poetica, ma anche per l'aderenza a certe angolature di pensiero, partite Ida situazioni bergsoniane e futuriste e, quindi, giunte a un costruttivismo rivisitato alla luce delle problematiche contemporanee"(2).
Dopo il diploma di scuola secondaria, gli anni giovanili di Umberto Peschi sono contrassegnati da una interessata ma discontinua frequentazione degli studi di artisti locali, un impegno in un primo tempo per certi versi residuale rispetto al suo solerte praticantato presso botteghe e opifici di mobilieri locali, il che dà conto dell'iniziale indirizzo artigianale della sua attività, che, se per certi versi sembra distoglierlo dalla ricerca e dalla creazione artistica, dall' altra lo affina nelle tecniche, guadagnandogli quella eccellente manualità che spenderà generosamente all'accendersi inequivocabile della sua vocazione per l'arte. In realtà la disposizione naturale per la scultura nasce e si accresce contemporaneamente alla maturazione della sua amicizia con Bruno Tano, animatore nel '32 del Gruppo Futurista Maceratese, poi denominato Gruppo Boccioni, cui Peschi aderì solo dopo il ritorno dalla guerra in Etiopia, intrapresa dalla politica coloniale del regime fascista nel Corno d'Africa, dove vestì la "divisa del legionario" nel biennio 1935-'36. Nel 1937 infatti si trasferisce a Roma, in via delle Colonnette, nella abitazione-studio condiviso con Tano e con Sante Monachesi, con i quali sbarca la vita all'insegna dell'indigenza al limite della miseria, un periodo che peschi comunque ricorda positivamente come quello degli anni eroici, "anni ferocemente contesi alla povertà ma densi di grandi suggestioni per la spinta esercitata dalle nostre giovanili speranze che ci aiutavano a discoprire sempre nuovi orizzonti"3. Con Bruno Tano, compagno e sodale di tale giovanile ed entusiastica stagione, Peschi ha sempre rivendicato uno speciale legame, una sorta di intesa spirituale, più volte esternati e personalmente confidatimi, nonché sottolineati pubblicamente, come nella conversazione avvenuta presso la Galleria "Il Labirinto" di Macerata, con parole così intense ed affettuose, che solo un amico fedele e pieno di devota ammirazione poteva pronunciare al fine di rimarcare e conservare nella memoria della comunità maceratese l'incidenza ancora viva di quella straordinaria personalità. "Era capace di affrontare qualsiasi argomento, anche il più difficile, con la stessa disinvolta semplicità di quando scherzando mi comunicava che non c'era nulla da mettere sulla tavola per il pasto del mezzogiorno. Roma era difficile in quegli anni e per resistere occorreva anche soffrire la fame, cosa che per la verità imparammo assai bene. Un vero grande artista Bruno Tano -che di 11 a qualche anno sarebbe morto tra le sofferenze verso il quale mi considero in debito di alcune idee relative agli autentici e assoluti valori dell' arte e del quale siamo un po' tutti debitori, visto che le sue opere, seppure poche a causa di una brevissima esistenza, meriterebbero ben altra attenzione"4. Dall' esperienza maturata in quel periodo, destinata peraltro a rimanere un lascitO da onorare negli anni a venire anche nelle risoluzioni apparentemente più distanti intraprese dalle vicende della sua poetica, che trovano nell'interpretazione ritmica del modellato di filiazione astratto costruttivista degli anni '80, gli esiti più maturi, Peschi conserva nel suo lavoro la forza propulsiva della dynamis quale trasfusione del concetto futurista di "slancio vitale" di matrice bergsoniana, un concetto sicuramente mutuato da Tano e dalla sua colta lezione, pubblicata anche in un articolo de "L’Azione Fascistà” del 12 marzo 19345. Una energia creatrice che egli "profuse nel legno", in piena sintonia con la linea poetica dell'aeroscultura, che condivise e interpretò significativamente nei primi tre bassorilievi in noce, Il duce, F.T. Marinetti e Ali, esposti dopo pochi mesi dal suo arrivo a Roma in una collettiva organizzata dalla Galleria d'arte "Bragaglia fuoricommercio", insieme agli inseparabili Tano e Monachesi, così entrando nella ristretta cerchia degli artisti d'avanguardia che gli aprirà grandi opportunità compresa quella di partecipare alle più importanti esposizioni nazionali e internazionali. "Balla lo stima, Pannaggi lo sostiene, Prampolini lo coinvolge nel movimento futurista e gli apre il suo studio. Depero, che aveva intuito le potenzialità espressive del giovane scultore venuto dalle Marche, inneggia all"intagliatore dello spazio che ha plasmato nel legno l'onda del vento e del pensiero"' (6). E se, come fa notare acutamente lo stesso Maurizi, la trasposizione dall'aeropittura all'aeroscultura degli stilemi di marca marinettiana, quali la velocità, la simultaneità, l'astrazione e la sintesi, nonché la trascendentalità del punto di vista, è una operazione di una certa difficoltà, poiché i mezzi di cui dispone lo scultore sono sicuramente meno duttili in quanto correlati al peso e alla massa della materia, dunque non altrettanto facilmente maneggevoli della linea, del colore, delle velature e dei toni, tuttavia Peschi risolve tale complesso problema "con una estrema semplicità d'impianto e con l'icastico gioco della luce"7, A questa felice fase creativa, in cui traspare evidente il fascino esercitato su di lui dalla poetica futurista e in particolare dal legato estetico di Boccioni, eletto dallo scultore maceratese a sua luminosa guida, risalgono diverse sculture aeroplastiche, di cui alcune con più versioni, come i tre bassorilievi: Il futurista Monachesi, Il Duce e F.T. Marinetti, gli ultimi due presentati alla III Quadriennale romana del '38 e giudicati dalla critica ufficiale opere "potenti e suggestive". Un notevole successo dovuto secondo un cronista di allora alla capacità dello scultore di "dare allo scalpello usato a nudo (cioè a mano libera n.d.r.), lo stesso effetto che il pennello raggiunge grazie al colore"8 ma anche al "commovente lirismo" della narrazione che riesce a fissare "il dinamismo della maschera del poeta combattente che predomina su tutto un paesaggio aereo africano. ..una plastica aerea di città, di aeroporti, di navi che emergono inquadrate da un mare fluttuante, di apparecchi celebranti una festosa sagra di pericolo e di audacia. ..valendosi dei concetti della simultaneità futuri" 9sta , L'effetto pittorico del modellato e l'impaginazione del racconto sono peculiarità che lo scultore maceratese ha sicuramente catturato negli anni della formazione, quando a Macerata frequentava lo studio dello scultore Giuseppe De Angelis, poco distante dalla sua abitazione, artista di "buona mano", allievo in Firenze dello scultore Trentacoste grazie ad una borsa di studio triennale elargitagli dalla Società Operaia Maceratese, nonché vincitore della medaglia d'oro assegnatagli dalla giuria, presieduta da Primo Levi, della prima Esposizione Regionale Marchigiana (1905). Su queste solide basi Peschi aveva costruito la sua poetica aeroplastica che condensava nella simultaneità della rappresentazione la scomposizione degli avvenimenti, scanditi da ritmi spazio-temporali imbastiti su vari piani in sequenza dall' alto verso il basso, ma dove è chiaro anche il richiamo ascensionale sussunto nella forma della stele lignea, del totem, dell' altare, nella cui potente simbologia lo spazio e il tempo delle vicende umane trascolorano immediatamente nei luoghi tanto intangibili quanto ineffabili della memoria e dell'immaginazione. Parlano questo linguaggio opere di grande pregio come Potenza di .forze simultanee (1937), Oasi di pace (1938), Il Paracadutista (1938), Tuffarsi (1939), e ancora Aeroritratto di aviatore (1939-40) edito in ben sei versioni, che, si è detto, Peschi presentò alla XII Biennale di Venezia insieme a Potenza simultanea del duce, molto gradita da Marinetti per il suo facile impianto narrativo ed evidenti concessioni alla retorica futurista (10).
A una attenta lettura delle opere di questo periodo, i soggetti più frequenti sono il più delle volte desunti da quelli già elaborati in pittura dall'amico Tano, con il quale Peschi ingaggia una sorta di confronto per opera, dove il rapporto dialettico più che sul piano della poetica è giocato sul terreno tecnico, per il nostro più sicuro e stimolante per la possibilità di restituzione del medesimo soggetto con tecniche artistiche differenti in quanto applicate a materiali diversi, che aprono naturalmente prospettive di risoluzione assolutamente diversificate e inedite(11). Negli stessi anni, Peschi realizzava anche numerose caricature sintetiche, schizzi veloci su carta di fisionomie a lui vicine, dal fratello Alberto Peschi a F.T.Marinetti all'avvocato Giovanni Sabalic, che poi trasponeva con lo stesso stile sul legno, sulla scorta di stilemi derivati da Ivo Pannaggi, il quale negli anni Venti aveva praticato questo genere satirico con notevole successo, grazie soprattutto alla straordinaria orchestrazione analogica che con pochi essenziali tratti riusciva a catturare l'anima dei personaggi, come quelli gravitanti attorno al Teatro degli Indipendenti poi raccolti sull' lndex di Bragaglia. Insomma, in questa fase, la produzione peschiana, pur connotata da una indiscussa capacità tecnica, più che rivendicare una propria autonomia stilistica sembra piuttosto vivere in simbiosi con le scelte progettuali dell'amico Tano, dalla forte personalità e figura leader del Gruppo Boccioni, nel quale il nostro riponeva la massima fiducia e con il quale condivideva sentimenti solidaristici finalizzati alla causa del futurismo, fino a considerare del tutto succedaneo il successo personale rispetto alla vocazione di fare Gruppo, di sentirsi insieme, forti della volontà di perseguire un fine comune, confidando nelle possibilità rivoluzionaria dell' arte come sferzata di nuova vita 12. A conforto di ciò basti ricordare la miriade di iniziative cui diede vita il Gruppo Boccioni, e altre, prevalentemente di impronta sindacale, che videro la partecipazione dei suoi aderenti sia in ambito provinciale che regionale e nazionale; tuttavia c'è da dire che, se per un verso, inizialmente, la personalità del nostro rimane in ombra rispetto al gruppo, per un altro, ne riscuote degli indubbi vantaggi, infatti, quand'anche richiamato alle armi nella primavera del '39, il nome di Peschi viene inserito d'ufficio dallo stesso Marinetti nella stesura del manifesto dell'Aeropittura e dell'Aeropoesia di guerra, come del resto le sue opere potranno comparire in altre iniziative artistiche nonostante egli fosse fisicamente lontano per onorare il suo lunghissimo impegno da coscritto sul fronte bellico, protrattosi fino alla fine delle ostilitàl3, Con la XXIII edizione della Biennale Internazionale d' Arte di Venezia, alla quale vengono invitati i due inseparabili amici, si interrompe bruscamente il loro intimo fraterno sodalizio con lo spegnersi, dopo una straziante malattia, il 23 luglio 1942 di Bruno Tano all'età di appena ventinove anni, mentre l'eredità del gruppo futurista, successivamente denominato "Boccioni Tano", sarà generosamente raccolta in Macerata con altrettanto entusiasmo da Wladimiro Tulli, Quanto a Peschi, le grandi difficoltà dei collegamenti e delle comunicazioni nella precarissima situazione bellica contrassegnarono il biennio '43-'45 come periodo di stasi per la sua attività, interrotta solo nel dicembre '45 da una cartolina postale di Enrico Prampolini che, volendo superare la pregressa forzata impasse, riallacciava i rapporti con un invito a realizzare insieme oggetti intagliati in legno per una mostra14. Ma la guerra non era passata invano, aveva lasciato evidenti segnature sia nella realtà che nel sentire individuale e nell' approccio al mondo, con l'avanzare di una nuova Weltanschauung di profondo spaesamento che trova nella pratica artistica una indubbio veicolo interpretativo e che intride palesemente anche la poetica dell'artista marchigiano,aprendo un nuovo ricco capitolo della sua ricerca, giudicata alla luce della produzione successiva da un suo attento e assiduo critico, quale Alvaro Valentini, come "fase d'involuzione figurativa”(15). È come se Peschi si fosse fatto carico di quel tragico momento rispettando il lutto degli anni della guerra con il silenzioso ritorno alla figurazione, l'abbraccio con stilemi martiniani infatti non è altro che la trasposizione delle lacerazioni esistenziali di un animo che, dopo aver registrato il terribile contraccolpo sia dello scarto epocale seguito al disastro morale e civile prodotto dagli eventi bellici, sia della pesante perdita affettiva dovuta al contemporaneo venir meno del punto di riferimento costituito da Bruno Tano, eletto a bussola per l' orientamento nei difficili marosi della contemporaneità, cerca un approdo sicuro al riparo dalla disillusione della mancata palingenesi futurista. A partire dalla metà degli anni Quaranta in Peschi dunque si riaffaccia il desiderio di ritornare alla figurazione, del resto in piena sintonia con le tendenze scultoree del momento che vedevano all' opera personalità venute alla ribalta prima della guerra e fedeli ad una produzione artistica che mantenesse una riconoscibilità figurativa, primo tra tutti Arturo Martini, che, morto nel '47, lascerà il primato di questa linea a Marino Marini e Giacomo Manzù. La figura umana e in particolare la sua complessità enigmatica e irrisolta diventava il soggetto idoneo su cui sedimentare riferimenti precisi, sicurezze tecniche ma soprattutto concettuali per un nuovo approdo alle solide "proprie radici culturali, a quel verismo, cioè, sul quale si era formato alla Scuola di Tirocinio, senza, però, dimenticare le successive conquiste tecniche derivategli dall'interpretazione pittorica del modellato" 16. Sotto questa luce nasce nel' 46 una serie di sculture a tutto tondo di piccole dimensioni, nelle quali l'autore articola la figura umana con assoluta essenzialità dal punto di vista anatomico, ma con altrettanta attenzione alla caratterizzazione del tipo, individuato ora nella assoluta precisa definizione del modellato come in Dolore, Figura maschile, Nudo di donna che cammina, ora con linguaggio che segue la suggestione del frammento e lo stile arcaizzante esemplati in Pastorella, Figura femminile, Atleta seduto, Il pescatore, opera quest'ultima riprodotta nel catalogo della Mostra Nazionale d' Arte Contemporanea, Teatro Lauro Rossi, Macerata 1-15 marzo 1947, a cura del Circolo d' Arte e Cultura "Rinascità” (17). A questa mostra Peschi presentò inoltre altre opere lavorate a rilievo da Contadina a La padrona di casa, e ancora Ragazza seduta, Vecchia, Maternità, Dolore, dove si dà conto nella pittoricità del segno di una lavorazione apparentemente sommaria in realtà attenta alla estetica del frammento piegata alle esigenze della forma, che vuole emergere ma solo in stretta sintonia e obbedendo alla vocazione della materia, che si arrende all'incidere della sgorbia e al colpo di scalpello, e se fa resistenza con le sue nodosità alla fine, docile, si arrende all' ormai inevitabile possibilizzarsi nella forma. In tal senso la sua ricerca appare impostata sul "sinolo", sulla unione indissolubile di materia e forma, dettata istintivamente da quello che è il lavoro della natura che "produce ordinatamente in vista di fini", dal "fare come" la natura che guida il suo spontaneo talento, tanto più evidente in questa fase in cui l'approccio creativo appare subalterno rispetto alle esigenze di rappresentare la realtà, così come essa è, imbrigliandola e fermandola in immagini, perché il rischio che assolutamente non vuole più correre è che essa possa venire menomata e compromessa fino a scomparire per sempre, sotto il maglio di eventi epocali irreparabili.
Così, sulla scorta dell'alto magistero di Arturo Martini, l'artista maceratese declina il linguaggio della scultura in forma popolare, nella sua espressione quotidiana, dimostrando la raggiunta incommensurabile lontananza dalla statuaria classica, destinata a celebrare gli dei, gli eroi, i santi e divenuta ormai lingua morta, rispetto alle urgenze esistenziali, restituite in forme essenziali con lessico arcaizzante, inciso pazientemente e tenacemente sul legno che egli saggia e provoca con gli strumenti del mestiere, come un analitico sperimentatore, nelle essenze più svariate. Tra le opere del periodo, forse le più significative per certificare il processo di oggettivazione in atto e il suo contestuale superamento, possono essere annoverate le Bagnanti, un bassorilievo in legno di ciliegio di grande impatto visivo, dove l'essenzialità dei volumi viene tonalizzata grazie al calibrato trascolorare delle masse dal bassorilievo allo stiacciato, ma anche il Pellegrino, un busto a tuttO tondo, attualmente alla Pinacoteca di San Ginesio, che attraverso un linguaggio popolare e naturale, intagliato nel legno come un vernacolo, apre un varco alla possibilità dell'accendersi magico dell'astrazione prefigurata in maniera esemplare da Maternità, uno splendido lavoro attualmente nella collezione della Pinacoteca Civica di Macerata, che sembra far rivivere nella sintesi dialettica dei pieni e dei vuoti, risolti nella purezza dei volumi luminosi, un ideale di classicità. Il biennio 1946-' 47, dunque, corrisponde nella biografia peschiana ad un periodo di riorientamento rispetto all'esperienza precedente, caduta tra le macerie della guerra, ma tesaurizzata e rielaborata con la consapevolezza dello ricercatore che, in attesa di poter imboccare decisamente la via di una poetica autonoma, si esercita in una pratica di eclettismo, peraltro provato dal fatto che, accanto alla ripresa naturalista, il nostrO comincia a fare uso con grande disinvoltura e a tuttO campo del codice dell'astrazione, alla quale accede sia attraverso il recupero della sintesi futurista dei volumi, che ha sicuri punti di riferimento in Prampolini e Depero, sia dalla scansione volumetrica cubista e costruttivista di area sovietica mutuate da Aleksandr Arcipenko e Ossip Zadkine, ma anche dal concittadino Ivo Pannaggi18. Esemplare al riguardo è l'opera Pagliaccio, esposta nell'aprile del '47, insieme a due Figure, nell'atrio del Teatro "Lauro Rossi" di Macerata in occasione di una Mostra del libro, di Pittura, di Scultura e di Bianco e Nero, che certifica la ripresa del linguaggio futurista, di evidente marca deperiana, coniugata alla sintesi compositiva dei volumi, ribadita e rideterminata con decisa efficacia nella risoluzione plastica delle masse di Suora ( 1948) , una scultura a tutto tondo in legno di ciliegio, che attraverso la scansione ritmata del modellato palesa lo studio dei rapporti spaziali e della "misura” modulare che caratterizzerà nel futuro l'articolazione del suo idiolettol9. Nel biennio 1948-'50, se la ricerca artistica dello scultore maceratese sembra segnare il passo, indugiando su stilemi di ricerca noti e per certi versi ripetitivi, l' attività espositiva, invece, subisce una forte accelerazione documentata dalla presenza di suoi lavori a tutta una serie di collettive, inizialmente di marca territoriale, cui faranno seguito prestigiose manifestazioni di rilievo nazionale e internazionale. Risale a questo periodo la partecipazione a una mostra organizzata a Porto San Giorgio per la locale Azienda Autonoma di Soggiorno da Luigi Dania, alla 1° e 2° Mostra Provinciale d' Arte di San Severino, alla V Quadriennale di Roma, nel maggio 1948, la prima del dopoguerra, e ancora nel settembre alla Mostra Regionale d' Arte di Macerata e nel marzo 1950 di nuovo a Roma alla 1° Mostra Regionale degli Artisti Marchigiani: Pittura, Scultura, Bianco e Nero.
Se in esse Peschi non presenta alcuna novità, è invece alla mostra allestita dalla Brigata Amici dell' Arte di Ascoli Piceno, tenutasi nell' agosto dello stesso anno, che oltre ad opere già conosciute espone anche Signora e Maschera, quest'ultima attualmente alla collezione Biondi di San Severino, una delle raccolte più ricche sull'artista, che danno chiaramente il quadro della maturazione in atto di una svolta determinante nella sua ricerca, peraltro sulla scorta di quanto già anticipato dall' opera Maternità, evidenziata in modo chiarissimo dalla volontà di ridefinizione del rapporto con la realtà ormai non più inscritto nel codice mimetico e illusivo, anche se rimane profonda l'adesione emotiva, ma l' abbassamento del tono retorico risulta direttamente proporzionale all' avanzare sul terreno di una strenua e puntuale ricerca di formalizzazione del linguaggio visivo. Peschi dunque riannoda nell'indagine spaziale le fila della esperienza pregressa raccordandola alle urgenze della contemporaneità ormai ineludibili a cui presta estrema attenzione, consapevole del nuovo scenario che vede sul campo gruppi che si fanno e si disfano l'un contro l'altro armati: dai nuovi linguaggi dell'astrazione sanciti dal Fronte nuovo delle arti e pronti a decostruire il naturalismo formale, alle forme espanse della nuova classicità, che Henry Moore propone nella Biennale veneziana del '48 con enorme successo, decretando l'accantonamento dei trionfi arcaico-primitivi e classicisti di derivazione martiniana che avevano giocato un ruolo egemone negli anni tra le due guerre. La declinazione dello spazio vuoto che, alla maniera di Moore, diventa tangibile come la forma piena, viene chiaramente assunta dal nostro in tutta una serie di lavori del periodo, per la maggior parte dei quali non resta purtroppo che una documentazione fotografica, e raggiunge eccellenti risultati sul fronte dell'autonomia linguistica in un altorilievo intagliato in legno di ciliegio dal titolo Coppia (Adamo ed Eva) (1949), e ancora in Amplesso e Vittoria alata, entrambe del '50 e in legno intagliato a tutto tondo, che risolvono, in una sintesi formale magistrale, il soggetto definitivamente consegnato alla scansione spaziale del modellato nella dialettica dei pieni e dei vuoti (20), solitamente sviluppata lungo l'asse verticale, ma eccezionalmente proposta sul piano orizzontale nell'opera Senza titolo (due figure), datata 1947. Aderisce in pieno allo stesso lessico, ma con una più accentuata impronta dinamica il Suonatore di fisarmonica, esposto con altre sue opere alla VI edizione della Quadriennale Nazionale d' Arte di Roma del 1951 e riprodotto in catalogo a tutta pagina, un'impronta assimilabile a una traccia mestica finemente rilevata da Elverio Maurizi nella evidente "comunanza di soggetto" con il Saltarello, un magnifico pastello, tra gli ultimi di Bruno Tano, anch' esso conservato nella stanza futurista della Pinacoteca Civica di Macerata. In realtà gli echi dell'aeropittura e del futurismo non solo non si erano spenti, ma richiedevano una opportuna storicizzazione nel tentativo, da più parti perpetrato come ineludibile esigenza, di staccare, con uno sguardo distanziato e meno ideologicamente compromesso, il movimento artistico dalla ideologia fascista, tant'è che "sul finire del 1951, Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Gino Severini, Giovanni Korompay, Angelo Caviglioni, Giovanni Acquaviva e Umberto Peschi, insieme ad altri futuristi, organizzavano a Bologna la Mostra Nazionale della Pittura e della Scultura futuriste, allesti~ ta nel palazzo del Podestà" per volontà dell'allora sindaco comunista, Giuseppe Dozza (21).
Sulla lunghezza d'onda della scultura italiana, che si sta aggiornando verso nuovi modelli compositivi, l'artista maceratese, accostando il montaggio dei volumi sintetici e aperti del cubismo all'energia futurista, con la rimozione dell'inerzia della massa inserita in una dimensione di relazioni spaziali, dove i vuoti contano quanto i pieni, e altresì inglobando anche istanze suggerite dalle esuberanze della deformazione espressionista, porta avanti una ricerca assidua e determinata, finalizzata alla costruzione dello spazio e della sua sintassi, a partire dall'analisi delle strutture di base relative a "la creazione dello spazio (chiuso) in quanto tale, e la creazione dei limiti dello spazio" (22). Opere come Invocazione, Protezione, Lavoratori, Arti in movimento, Il cavallino rampante, parlano questo nuovo linguaggio e danno indicazione del percorso di una ricerca che si snoda in modo sempre più spedito e autonomo, fino agli esiti maturi di Composizione astratta, un rilievo in legno di notevoli dimensioni, per il quale Prampolini espresse un giudizio estremamente lusinghiero: "bene, bravo, è l'opera più organica che hai fatto"23, che gli valse la partecipazione alla VI Mostra annuale dell' Art Club del 1952, con l'esposizione dell'opera negli spazi della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, e, successivamente, in quelli della Rocca Paolina a Perugia24, mentre con il medesimo lessico asciutto dell'intaglio veniva confezionando un altro grande legno dal titolo Due figure che danzano (1953). Dunque, scrive la Toni :"È personalmente Enrico Prampolini ad introdurlo nell'ambiente romano e sollecitarne l'adesione a manifestazioni e dibattiti culturali, la cui incidenza sarà determinante nella successiva evoluzione stilistica dello scultore marchigiano"25, ed è significativo come l'inserimento di fatto in un contesto artistico internazionale di ricerca avanzata sul fronte dell'arte astratta imprima la svolta definitiva alla sua ricerca su quel terreno ampiamente saggiato, dissodato e proposto, ormai alla stregua di un lessico familiare, in Scultura (tre elementi incrociati) che l'artista espone alla Mostra dell'Art Club nell'aprile dell'anno seguente e nel novembre alla Galleria Numero di Firenze diretta da Fiamma Vigo26. In definitiva, se negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, la scultura in Italia risente di un profondo disorientamento spirituale accompagnato da un altrettanto radicale travaglio linguistico, conclamati dal caso emblematico di Arturo Martini, che ne proclama la crisi nel celebre libretto del '45, Scultura lingua morta, salvo poi riabilitarla appena due anni dopo, poco prima della morte, con la frase parimenti lapidaria "La statuaria è morta, la scultura vive", la ricerca di Umberto Peschi risulta perfettamente in linea con il contrastato clima dell' epoca, di cui raccoglie anche il lascito testamentario del grande maestro del "Novecento", indirizzando il suo lavoro verso la sperimentazione di nuovi linguaggi che garantiscano una ricucitura con la storia e il profilarsi di nuovi orizzonti operativi per la scultura. Naturalmente esposto verso l'astrazione, ora Peschi si avvia ad articolare in piena autonomia quel lessico così diffuso e variamente praticato secondo le più disparate declinazioni in tutta la penisola, a partire dai centri nevralgici di Milano, Roma, Venezia, Firenze, Napoli in costante raccordo con analoghe sollecitazioni provenienti dall'estero, puntualmente riassunte da Enrico Crispolti nella mostra Dal Futurismo all'Astrattismo, allestita a Roma nel Museo del Corso nel luglio 2002, dove di fronte ad opere che vanno da Alberto Viani a Umberto Mastroianni, da Piero Dorazio a Michelangelo Conte non si può non rilevare come Peschi si sia nutrito dell'intima essenza di quella ricca e stimolante stagione e come in particolare quest'ultimo artista sia stato un punto di riferimento privilegiato per la sua attività grafica dell'immediato dopoguerra, ma che impronterà la copiosa produzione dei disegni anche negli anni a venire27. "Nel marzo 1954, l:4rt Club organizza presso la Pinacoteca Comunale di Macerata una Mostra Nazionale d' Arte Astratta, dove Peschi era di nuovo presente con tre sculture senza titolo, sempre realizzate in legno"28, con le quali dà prova del grande rigore stilistico della sua ricerca, ormai volutamente schiva di ogni referente naturalistico e indirizzata alla sperimentazione dei rapporti sintattici delle forme e dei volumi in mutuo dialogo con lo spazio. Parlano questo medesimo linguaggio opere lignee come Forme incrociate, Ritmi di danza, Sculture marine, presentata quest'ultima nel luglio ad Ancona alla lo Mostra Nazionale d'Arte per opere di Pittura, Scultura, Bianco e Nero, Ceramica ispirate al mare, dove la tendenza aniconica si fa sempre più evidente insieme alla rastremazione delle forme e delle volumetrie più asciutte e propense a rivelare l'essenzialità della struttura formale costruita sulla relazione ritmica dei segni. Con Palla a volo Peschi partecipa alla VII Quadriennale romana del '55, dando conto in quest'opera dell'ulteriore sopravanzare della componente astratta sull'elemento figurativo attraverso scansioni modulari successivamente riprese in Ritmi ed elementi di mare, presentati nello stesso anno alla 2° Mostra Nazionale d'arte di Ancona, e in strutture marine o (Vele e ancore), una variante dell'opera già esposta l'anno precedente a Monterinaldi e presentata nel '56, prima a Bologna, per una collettiva alla Galleria "La loggia”, poi, alla Galleria Totti di Milano (29). Se è vero che la intensa attività espositiva del nostro era sintomo di grande vitalità produttiva e di ricerca costante, è anche vero che non sfugge al suo grande mentore, Enrico Prampolini, una sorta di dissipazione del proprio lavoro e delle proprie energie, tant'è che in occasione di uno dei frequenti scambi epistolari lo esorta a cimentarsi "in qualche importante personale a Roma, Milano, Venezia", ma Peschi evidentemente ha ancora bisogno di confrontarsi con gli altri e trova prematuro presentarsi in prima fila con una personale, atteggiamento del resto in linea con la sua fisionomia di marchigiano schivo e maceratese ritroso, appassionato amante del suo lavoro, condotto con quella serena umiltà che di solito si coniuga con il vero talent03o. Il sodalizio con Wladimiro Tulli cominciato nel '53, si consolida ulteriormente nella Mostra antologica organizzata a Macerata dalla Brigata Amici dell'Arte del gennaio 1957, dove vengono esposte opere dei due artisti che ricoprono un arco temporale di circa un ventennio "nel ricordo di Scipione, Tano e Prampolini"31, come si legge nell'autopresentazione in catalogo, e, sempre in coppia, partecipano nel maggio successivo a Venezia ad un' altra personale presso la prestigiosa Galleria del Cavallino di Carlo Cardazzo, per la quale stese una breve presentazione Osvaldo Licini che, dalla fine della guerra definitivamente stabilitosi nelle Marche a Monte Vidon Corrado, il paese nativo delI'appennino maceratese, era diventato un punto di riferimento certo e privilegiato dei due artisti emergenti e di quanti altri artisti e intellettuali volessero attingere a quella straordinaria e inesauribile fonte32. Quanto al nostro, prosegue nella sua intensa attività espositiva partecipando alla Rassegna "Grafica internazionale contemporanea” di Ascoli Piceno con un significativo disegno, Organismi, che riassume in modo inequivocabile l'affacciarsi di una nuova originale cifra stilistica, riconfermata ne il Tarlo, una stele lignea a tutto tondo esposta in una collettiva alla Galleria Numero di Firenze, che caratterizzerà gli esiti più maturi della sua produzione nel decennio compreso tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta, è su quella scorta infatti che produce la serie dei Ricordi antichi, presentati al Premio Internazionale di Scultura "Città di Carrara” e riproposti in versioni analoghe al Premio Marche sempre nel '57, nonché la Scultura in legno con cui sarà presente alla rassegna "45 artisti astratti", la 208° mostra organizzata dalla Galleria Numero nell'agosto-settembre 1958 (33).
L' articolazione modulare che aveva caratterizzato il passaggio verso l' astrazione ora viene arricchita con le risultanze di una pervicace indagine sulla materia lignea, non più accostata "a corpo" ma analizzata nelle sue tessiture, scavata, morsa e penetrata fin nelle strutture profonde, cosicché, smembrata e svuotata del peso dell'inerzia materica, possa essere ricondotta a quella radice energetica profonda, mai spenta nel suo approccio empatico, che aveva caratterizzato gli anni giovanili animati dall'estetica futurista34. Con questa operazione Peschi dimostra di aver sentito profondamente quanto stava avvenendo sul fronte dei nuovi linguaggi della scultura, di conoscere benissimo, e la sua assidua presenza alle collettive con gli artisti di punta del momento ne danno conto, come l'approdo astratto, divenuto l' obiettivo comune dominante la cultura artistica per tutti gli anni Cinquanta, stesse riconfermando le prospettive "non-figurative" prebelliche secondo due opposte direttrici, l'una di stampo razionale, costruttivo e rigorista, l' altra aperta invece alle intemperanze tanto esistenziali quanto irrazionali scaturite dall'irruzione di istanze soggettive che annullano e liquidano ogni pretesa di restituzione oggettiva, compresa la possibilità di mettere in forma. L'artista maceratese si muove con disinvoltura tra queste due tendenze saggiando, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, anche materiali diversi dal legno, come il solo metallo nel Bassorilievo in alluminio (1955), o combinando ad esempio legno e metallo nella serie dei Pinocchio (1956) o ancora metallo e gesso in Ferro e gesso (1957 circa), o usando solo bronzo in Tarli sul sensibile, lavoro quest'ultimo di controversa datazione, addirittura con uno scarto di un decennio tra le due date di riferimento, vale a dire il 1954, la data postuma imposta dall'autore, e il 1964, anno della sua prima esposizione (35), In realtà, prestando estrema attenzione alle frequenti sollecitazioni provenienti da Prampolini che lo invitava ad abbandonare prima possibile ogni eccesso decorativo ed ogni compiacimento ornamentale, lo avvertiva infatti di stare "attenti al liberty e al floreale" consigliandogli di" variare gli elementi e di inventarli in un ordine meno ornamentale" visto che "in opere a se stanti si deve rifuggire il solo artigianato" poiché il fine da perseguire non è la bellezza emotiva ma la produzione di un' opera astratta coerente ed equilibrata, ragion per cui era necessaria una adesione più ortodossa al codice dell'astrazione con l'uso della linea retta, la cui assenza "è sempre grave in questa espressione astratta (36). Ma l'iniziale refrattarietà di Peschi a imboccare la via univoca dell'astrazione geometrica era scritta nella sua indole artistica che aveva maturato i frutti del proprio talento nell'incubatoio dell'aeropittura futurista ricca di accenti emozionali come quella impartitagli da Tano, e sotto i raggi lunari delle Amalasunte o nelle atmosfere ora combuste ora glaciali degli Angeli Ribelli, con cui Licini aveva consegnato definitivamente la sua pittura al destino di essere "un' arte irrazionale, con predominio di fantasia e di immaginazione, cioè poesia”. E poesia sono le sculture senza titolo, contrassegnate solo con un numero, presentate alla Galleria del Cavallino nel giugno del '57, in cui un anonimo articolista del Gazzettino di Venezia rinviene "una invenzione che rinnova un' antica tematica decorativa ornamentale spesso usata dalla scultura (fasce, cornici, architravi), senza che la materia così leggera, perda per questo la sua bellezza" (37). Ma Peschi articola l'ornamento per disarticolare il rapporto soggetto-oggetto, e dall'arte trascurata della decorazione, per dirla con Riegel, infatti desume la dimensione astratta, espunta da qualsiasi tessuto narrativo o rappresentativo del racconto, nella quale dell' Ego non rimane che una traccia residuale, asfittica e allo stato larvale, come il tarlo, che facendo corpo unico con la materia, non ha la forza di oggettivarla ma si limita a metabolizzarla all'interno di un processo naturale ed originario dove, tra il tarlo che si nutre della materia e la materia che si annulla nel tarlo, nasce una alchemica corrispondenza che liquida definitivamente la categoria della intenzionalità e con essa della centralità del soggetto. Così la "poetica del tarlo", pur nella sua apparente semplicità, si intreccia con i fermenti culturali di un'intera stagione, che, alle soglie degli anni '60, ha visto maturare movimenti controculturali e antimodernisti tesi, anche con l'adozione di abitudini iconoclaste, allo smantellamento dell'oggetto e al dimagrimento del soggetto, una poetica dunque tanto più significativa in quanto declina, al pari di altre ricerche materiche del periodo, e il riferimento a "Origine" torna più che spontaneo, una valenza propriocettiva che restituisce alla scultura la sua dimensione tattile, intesa come definitiva nullificazione di ogni tensione rappresentativa condensata in una introversione dello sguardo che dalla superficie penetra in profondità fino alla deflagrazione dell'Essere e con esso di tutte le modalità dello spazio, come anche della forma. Ma altresì rintracciando nel fare artistico la possibilità di "abitare le cose", perforandone la pelle, attraverso il lavoro tenace condotto pazientemente secondo i dettami della tecnica artistica, pronta a riscattare la tecnica artigianale quale più alta espressione della tecnica del corpo, la sola, ricorda Merleau Ponty, che "raffigura ed amplifica la struttura metafisica della nostra carne" nell'estroversione ritmica della prassi artistica, una dimensione originale da dove ripartire, sul registro di una sottile e sempre varia tessitura su cui Peschi impegnerà con grande entusiasmo, serena dedizione e fiducioso ottimismo la sua ricerca successiva, alla riconquista di una speranza progettuale idonea a commisurare e dunque a riconciliare l'uomo con il suo mondo (38).
Paola Ballesi
da Quaderni di Scultura Contemporanea, Edizioni della Cometa – Periodico mensile -, Roma, n.3/2003
(1) G. BINNI, Un sessantennio di vita artistica maceratese, inAA.W. La città sulpalcoscenico, Macerata 1991, p.391
(2) E. MAURIZI, Umberto Peschi: scultura come poesia, Macerata, 1979, p.5
(3) U. PESCHI, La sola cosa della mia vita, Pollenza 1993, p.12
(4) U. PESCHI, Umberto Peschi al Labirinto, in catalogo della mosrra omonima, Macerata, 21 dicembre '8310 gennaio '84, Nel catalogo viene ripresa la conversazione avvenuta nella sede dell'Agenzia Einaudi dei fratelli Torresi il21 dicembre 1981 e che sarà ripubblicata l'anno successivo alla sua morte a cura del Consiglio dei curatori della Pinacoteca e Musei Civici di Macerata, con il titolo La sola cosa della mia vita, cir.
(5) P. BALLESI, La breve stagione di Bruno Tano nella memoria della città, in AA, W., La città sul palcoscenico,cit" p.467
(6) A. VALENTINI, Umberto Peschi, la poetica del tarlo, Pollenza 1989, p. 7
(7) E. MAURIZI, Umberto Peschi, .., cit" p, 7
(8) E. MAURIZI, U. Peschi"" cit, p. 10
(9) A. BARTOCCI, Artisti maceratesi alla 3" Quadriennale d'arte di Roma, in "L'Azione fascista” , novembre1938
(10) Nell'ottobre del 1941 fu istituita in Roma presso l'abirazione di Martinetti, la ptima Galleria d'Aeropittura, dove tra le 190 opere "sceltissime”, erano presenti anche quelle di Tano, Monachesi e Peschi, di quest'ultimo compariva appunto Oasi di Pace, cfr, A.C,TONI, Futuristi nelle Marche, Roma 1982, p.98
(11) Il confronto per opera avviene ad esempio su temi quali il paracadutista, oasi di pace-oasi, ali, sensualità daviatore sensualità elettrica, aeroritratto daviatore-testa daviatore ecc.
(12) A quest'abbraccio si sottrasse definitivamente Sante Monachesi che intraprese la via dell'autonomia a partire dai primi anni' 40, e a dimostrazione del graduale distacco dalla poetica futurista, promuove una sua personale a "La Barcaccia” di Roma e nel dicembre del' 41 partecipa ad una collettiva nella Galleria di Roma con Franco Gentilini, Renato Guttuso, Francesco Menzio, Orfeo Tamburi e altri
(13) Goffredo Binni sottolinea come, tra una guerra e l'altra, Peschi avesse prestato ben quindici anni di servizio militare e quanto, nonostante ciò, fosse costante e determinato il suo impegno a far proseguire il suo sodalizio di gruppo, cfr. G, BINNI, Un sessantennio.,., cit" p. 391
(14) E. PRAMPOLINI, cartolina postale indirizzata da Roma il 29, 12, 1945, Archivio Peschi
( 15) A. V ALENTINI, Umberto Peschi, Sculture, La poetica del tarlo, Pollenza 1989, p. 9
(16) E. MAURIZI, Umberto Peschi.", cit., p. 17
(17) Da segnalare, oltre alla difficoltà di rintracciare queste opere in parte disperse, anche l'incerto riscontro delle titolazioni, sovente controverse, difficoltà del resto comuni ad altri autori per il periodo preso in esame
(18) Nel periodo in questione Ivo Pannaggi risiedeva pressoché stabilmente ormai da un decennio in Svezia, ma potente era rimasta la sua eco tra gli artisti Maceratesi, vuoi per la marcata personalità, vuoi perché a ragione considerato il battistrada della ricerca nella contemporaneità, in questo senso risultano illuminanti e sicuri punti di riferimento vuoi la sua intensa attività pubblicistica vuoi i frequenti scambi epistolari con i suoi referenti maceratesi, compreso Peschi.
(19) Di queste opere resta solo una documentazione fotografica custodita presso l'archivio Peschi.
(20) Dopo la mostra di Ascoli Piceno dell'aprile 1950, Peschi espone nel maggio in una collettiva alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto e nel giugno successivo a Perugia, all'annuale Mostra Sindacale degli artisti Umbri alla Rocca Paolina, e un ignoto cronista de "La nazione italiana”, scrive a proposito delle opere di Peschi di "sintesi nuove” care ad Henry Moore, mentre Amplesso, coll, I Marchegiani, veniva presentato nell'agosto dello stesso anno alla Buca del Cavallino di Porto Potenza Picena. Infine nel febbraio del 1951è presente a Macerata con ben 19 opere alla esposizione organizzata dalla Brigata Amici dell'arte e anche in questa occasione la presentazione in catalogo di Leonce Rosemberg rileva il passaggio definitivo a stUdi di natura nuova, concetto che peraltro sarà ripreso e rafforzato tanto da Giuseppe Mainini quanto da Alvaro Valentini. Cfr. E, MAURIZI, Umberto Peschi..., cit. pp. 21-22.
(21) A tal proposito Maurizi sottolinea come "il discorso della politicizzazione dell'aeropittura e dell'aeroplastica, tentata in quell'occasione da alcuni nostalgici" infastidì non poco sia Peschi che Tulli, per i quali l'arte futUrista doveva essere assolutamente scissa dalla questione politica, come del resto aveva già sancito la storia, per conservare esclusivamente la natura di quella poetica fondata sull'elan vital bergsoniano, in E,MAURIZI, Umberto Peschi.,., cit. p. 22.
(22) A. RIEGL, Arte tardoromana, Torino, 1959, p. 27
(23) E. PRAMPOLINI, Cartolina postale senza data indirizzata a Umberto Peschi, timbro postale del 5marzo 1952, Archivio Peschi.
(24) L'Art Club, associazione artistica sorta a Roma nel 1945 per iniziativa del polacco Josef Jarema, ma in realtà sotto l'egida di Enrico Prampolini, si pone come testa di ponte della ricerca artistica italiana in dialogo costante e proficuo con le ricerche più avanzate nelle atti visive in campo internazionale, Basti pensare che il gruppo Forma, presentato da Emilio Villa, espone per la prima volta a Roma nel 1947 proprio all'Art Club, e che lo stesso Art Club in collaborazione con il Club Age d'Or, promuove l'importante mostra Arte astratta e concreta in ltalia1951, allestita presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna, per dare conto con una ricognizione ad amplissimo raggio del variegato panorama della ricerca contemporanea sul versante non-figurativo, cui farà seguito ne11953, la mostra Arte astratta italiana e francese, anch'essa organizzata dall'Art Club.
(25) A. C. TONI, Ricerche contrapposte, Roma 1984, p.31.
(26) Una linea di ricerca riconosciuta anche nel testo critico della mostra tenuta nel febbraio del '52 presso la Galleria del Corso di Merano, a cui aveva partecipato insieme a Gigetto Novaro e Giovanni Korompay, e confermata dalla presentazione di Leon Degand della Mostra dell'Art Club del '53, cfr. L.DEGAND, Arte Astratta Italiana e Francese, 8rMostra dell'ArtClub, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma, 22 aprile -22 maggio 1953; e ancora da Virginio Budini nella presentazione in catalogo della personale di Umberto Peschi e Wladimiro Tu!li alla Galleria Numero del novembre. A questa esposizione fecero seguito numerose altre mostre che videro la partecipazione di Peschi a diverse iniziative di questa prestigiosa Galleria, all'avanguardia nella ricerca del contemporaneo specialmente su! versante dell'astrazione, come nell'autunno del 1955 alla Mostra Internazionale all'aperto di arti plastiche, La Cava, a Monterinaldi di Firenze, che vide la partecipazione di Baj, Cagli, Calò, Cappello, Greco, Guttuso, Leoncillo, Mirko, Pierluca, Arnaldo e Giò Pomodoro, Tancredi con il viatico di una nota introduttiva in catalogo di Lionello Venturi.
(27) Da notare come l'esperienza giovanile maturata in Africa e documentata nel suo diario, attualmente consultabile nell'Archivio Peschi, riaggalli sovente nell'attività grafica, ma in particolar modo in quella che segnerà l'epilogo della sua vicenda artistica, raccolta nella serie straordinaria di disegni dalle tramature africane di carattere erotico.
(28) E. MAURIZI, u: Peschi..., cit., p.25, dove parteciparono, tra gli altri, Licini, Nigro, Perilli, Arnaldo e Giò Pomodoro.
(29) Mostre d'Arte -Astrattisti e futuristi alla Loggia, "Il Resto del Carlino", Bologna, Il maggio 1956.
(30) E. PRAMPOLINI, cartolina postale del3 settembre 1955. La prima importante personale di Peschi si terrà a Vienna ne11963. Significativa invece appare la fisionomia di animatore culturale che l'artista viene ad assumere nella Brigata Amici dell'Arte maceratese con la promozione dellO e della 2° edizione del Premio Scipione, rispettivamente del '55 e del '57.
(31) Alla mostra Peschi espone tra le altre opere anche la seconda edizione di Palla a volo, pubblicata in catalogo, che si differenza dalla prima per una maggiore articolazione modulare e per la ptesenza di un solo elemento sferico mentre la prima ne presentava due, cfr. Brigata Amici de/l:4rte, Mostra Personale retrospettiva del pittore Wladimiro Tu!li e dello scultore Umberto Peschi, 5-15 gennaio 1957, Macerata.
(32) Nella breve nota di presentazione Licini dava testimonianza di come seguisse i due artisti da qualche anno "con molta simpatia", considerandoli "tra i più interessanti astrattisti italiani".
(33) Da segnalare nel corso del '581a sua partecipazione a Zurigo a una Mostra scambio presso la Bueno Galerie ed ugualmente a Parigi nella Galerie l' Antipoète, a Napoli al seguito di Numero alla Galleria San Carlo e infine ad Ancona al Premio Marche dove presentava solo disegni della serie Costruzioni di città.
(34) Alvaro Valentini, critico amico ed estimatore dell'artista, così mirabilmente sottolinea la "corrispondenza di amorosi sensi" tra Peschi e il legno: "Un materiale caldo, duttile, sinuoso, sempre diverso per consistenza e porosità, sempre suggestivo nei suoi nodi, nelle infinite venature, nelle fibre intime che al tarlo chiedono di parlare" in A. VALENTINI, Umberto Peschi, cit., p.12-13.
(35) Anche per altre opere si è riscontrata una analoga difficoltà di datazione, e, nel caso in specie, appare più fondata la seconda data, alla luce soprattutto del prosieguo della ricerca peschiana negli anni Sessanta, che manifesta un progressivo asciugarsi del linguaggio verso una decisa rastremazione delle forme volta all'esaltazione della costruzione sintattica del modulo secondo sistemi combinatori ad incastro modellati su uno schema di pura razionalità, cui sembra pienamente potersi ascrivere l' opera in oggetto.
(36) E. PRAMPOLINI, Cartolina postale senza data indirizzata da Roma a Umberto Peschi, Archivio Umberto Peschi.
(37) Alla Galleria del Cava/lino, "Il Gazzettino", Venezia, 2 Giugno 1957.
(38) In definitiva, secondo una felice espressione di Crispolti riferita alla ricerca di Peschi degli ultimi anni Sessanta, " dimostrando in realtà come 'il tarlo' sia ormai tecnologicamente sedotto", in E.CRISPOLTI, Umberto Peschi. Modularmente. Anni '60, Macerata 1990, p. 11.
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Ricordo di Umberto Peschi
A ottant'anni Umberto Peschi tradiva ancora uno straordinario sentire che lo accompagnava da sempre e che era solito investire con immutato entusiasmo tanto nella sua attività di artista che nel suo stile di vita.
Riguardo al primo aspetto, il suo lavoro tenace di schietta impronta fabrile rimane la testimonianza pervicace e indefettibi¬le di come il sapere si congiunga al fare, l'intelletto alla prassi, la mente alla mano.
Era questo, peraltro, il messaggio pedagogico che ha caratterizzato sia la sua fisionomia di docente che quella di maestro, per quanti hanno avuto la preziosa opportunità di raccogliere il suo insegnamento tra i banche dell'Istituto d'Arte di Macerata o di frequentare successivamente la sua casa-bottega-laboratorio di Via Lauro Rossi.
Fra questi ultimi ebbi modo di accedere, su e giù per le erte scale, dai segreti del suo abbaino alle memorie polverose dei ripostigli-archivio delle sue cantine, tra pile accatastate di vecchi lavori, abbozzi e progetti, ove si respirava, tra l'odore antico, il senso della storia, dell'arte e della vita.
E proprio all'entusiasmo per la vita vissuta sotto il segno, a un tempo risoluto e dirompente, dell'arte è legato il secondo aspetto che mi piace ricordare di Umberto, giacché saltava prepotentemente agli occhi non appena la frequentazione con il maestro assumeva i caratteri di una intima assiduità , quasi che il felice connubio arte-vita, che segnò l'incipit della sua ricerca negli anni ruggenti del secondo Futurismo, non avesse perso smalto.
Anzi, in forza dei ricorrenti spontanei confronti con una realtà ormai lacerata in brandelli di disillusioni affogate in iperboliche strategie di consumo, il suo credo poetico diventava monito inequivoco a far sì che, per dirla con André Chastel, "il nostro più profondo bisogno fosse di isolare e considerare certe famiglie e categorie di immagini che tanto sfuggono al livellamento e al rapido consumo quanto più gli prestiamo attenzione come opere".
L'infinito valore di questa missione gli rinnovava giorno per giorno l'entusiasmo per l'arte e per la vita, per una vita scandita nella prassi artistica da opporre altresì a risoluzioni centrifughe verso esiti nichilistici che, in quanto contrarie alla sua impostazione progettuale e ritenute troppo facili, sfuggivano completamente alla sua considerazione.
Umberto preferiva e additava la via molto più semplice, ma forse per questo assolutamente eccentrica e faticosa, del lavoro svolto con grande sapienza ed abilità in cui si produce il farsi concreto dell'arte che dà senso alla vita tanto da conferirle il pregio di essere vissuta con intensa passione.
Paola Ballesi
Accademia di Belle Arti, Macerata, 23 dicembre 1992
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